Artista tutor Dragana Parlac
Guest Curator Lorenzo Bruni
Dragana Parlac ha affrontato il tema della casa e la modalità di confronto con i giovani artisti toscani in maniera molto pragmatica: ha chiesto ai partecipanti al
workshop, svoltosi nella città di Prato, di usare come luoghi di incontro le case stesse di ognuno di loro. L'artista più che portare la sua personale idea di casa o gli esempi delle sue mostre o del suo fare artistico ha puntato ad un ricerca in presa diretta su come ognuno dei giovani artisti percepisce il familiare, il personale, il privato, partendo non da idee astratte, ma dalla relazione più che concreta che ognuno di loro stabilisce costantemente con il suo domicilio. Prima che un concetto o un elenco di opposizioni tra il privato ed il pubblico, lo spazio del personale e del collettivo, la casa è un contenitore fornito più o meno dei soliti accessori riconoscibili o giustificabili anche da estranei. La differenza risiede nella storia di quegli oggetti connessa al loro proprietario e nell'oscura o inconscia relazione tra di essi nello spazio. Occupare quello spazio con estranei, con uno scopo non legato alla socialità, ha costretto ognuno dei padroni di casa a dare voce, in un gioco curioso di omissioni e spiegazioni, a quegli oggetti e a stabilire una loro gerarchia di importanza per dichiarare a se stessi il proprio autoritratto.
L'aspetto più importante però era proprio l'atto di condivisione di tali spazi e dei vari sentimenti e reazioni ad essi tra i giovani artisti e Parlac senza cesure. Le giornate del
workshop erano definite dai vari spostamenti da una casa all'altra con i relativi imprevisti, incontri, pause pranzo improvvisate dagli altri coinquilini (studenti o genitori a seconda dei casi). Il
workshop in sé non era diretto alla produzione di lavori, ma ad una riflessione teorica in cui i vari punti di vista su come viene vissuta la casa rispetto all'idea di casa sviluppata da ognuno di loro in questi anni venivano discussi e condivisi. Le domande sottointese che aleggiavano i primi giorni del tipo «Come reagire a questo luogo? Cosa accade?» da parte dei partecipanti, lasciavano il posto a domande espresse del tipo «Come allora visualizzeresti o racconteresti questo tuo sentimento di casa?». «Io più che lavorare su un'immagine di una delle case che abbiamo visitato vorrei provare a segnalare il mio passaggio da una casa all'altra. Non il luogo in sé, ma come è il luogo dopo il mio passaggio, come se la mia presenza fosse rimasta in quel luogo e lo avesse in un certo modo alterato e mutato». «Quello che volevo che emergesse da questo mio esperimento del
workshop era che voi vi domandaste cosa accade a quel luogo del privato quando viene attraversato da qualcun altro. E soprattutto cosa rimane di noi lì». «La mia sensazione dopo queste visite era di intromissione, di disagio per forzare e condividere uno spazio personale altrui... ma come io mi sono portata via sulla mia pelle, strato dopo strato, parti di quelle case, così ho lasciato qualcosa di nuovo lì... credo... anche perché le intromissioni erano consapevoli da entrambe le parti, da chi le subiva e da chi le attuava». L'azione dei componenti di questo nuovo gruppo è stata quella di definire degli autoritratti, di condividerli con gli altri, e di tentare di capire quali elementi scegliere di manifestare di sé, della propria esperienza della casa, e come fare a concretizzarli. Questo ha definito una totale partecipazione e condivisione tra i vari partecipanti alle idee e modalità di lavoro degli altri. La cosa curiosa è che il
workshop, privilegiando l'aspetto di riflessione teorica di interrogarsi su quale era il processo da seguire per parlare del tema della casa e di cosa definisce l'identità, sia a livello personale che collettivo dei vari soggetti, e non sul concentrarsi subito sul prodotto, sull'immagine, sull'opera, ha dato forma in maniera molto spontanea ad una mostra con un sentimento corale al cui interno vi erano delle sensibilità e storie e paure ben distinte. Ogni opera presente all'interno dell'
ex meccanotessile di Prato, alla fine del
workshop, aveva la genesi formale nel rapporto tra dentro e fuori, ma tutte si risolvevano poi in un tentativo di condivisione di una propria intimità, cosa che costringeva ad interrogarsi su cosa intendiamo con questo, come la identifichiamo e come fare ad esprimerla e a manifestarla.
La prima immagine che ci accoglieva e da cui potevamo avere la prima impressione di spazio era quella di una finestra sospesa nel vuoto e stampata su acetato di Cecco Ragni. Gli infissi e il paesaggio al di là del vetro trasparente erano ottenuti con un
collage delle varie finestre dei vari appartamenti visitati. I materiali come il fuori (città, vicolo, cielo, campagna) erano diversi, ma il tutto si amalgamava come in una nuova cosa. Alle spalle uno scheletro in legno dello stereotipo della casetta che si faceva contenitore vuoto di un cubo sospeso con
collage di varie facciate di case, era invece il contributo di Federica Gonnelli. Piccole e discrete erano le fotografie dei proprietari delle varie case raccolte da Martina Menici. Giovanna Fezzi, lavorando sul cucito e usando la stoffa nera di pizzo con inserimenti di trina (lutto e sensualità), ha visualizzato scene di assenza ed evocazione di presenze in luoghi praticabili solo dalla memoria. L'intervento di Manuela Mancioppi consisteva nella presenza di tubi di cartone che i visitatori potevano prendere e osservare, attraverso varie immagini di buchi di serrature, le immagini di ombelichi di varie persone. Andrea Lunardi ha fotografato alcune stanze visitate nei giorni precedenti in cui compare l'inserimento estraneo di alcuni pezzetti di colore monocromo (astrazione e assolutizzazione allo stesso tempo). Il video di Stefano Tondo presentava se stesso nello smarrirsi e vagare di casa in casa come se ignorasse il movente e senso della sua presenza lì. Paula Rivas ha presentato la foto di un contenitore di uova: immagine del moderno (slancio verso il futuro, forme nuove come idee permesse dalla tecnica) che evoca unità e aggregazione, ma che avviene solo sacrificando l'unicità del singolo. I due video contrapposti di Federico Gori proponevano uno un viaggio alla David Lynch nell'ignoto dei propri sogni o incubi fatti di specchi d'acqua in boschi pieni di ombre, e l'altro un passaggio di facciate di case. Disperse nello spazio, accanto alle altre immagini come un
virus assurdo e grottesco da guitto medievale che ci restituiva la leggerezza di arbitrarietà all'argomento trattato, vi erano le quattro fotografie di Luca Privitera di lui stesso in atti quotidiani come prendere un caffé in luoghi assurdi come l'interno di un armadio. Le fotografie di Filippo Alessi puntavano a visualizzare l'ordine borghese che regna di base nelle case di tutti. L'installazione video di Giampaolo Rende - in quanto studente fuori sede - consisteva nella silhouette piena della forma della casa, il cui interno veniva riempito dalle immagini distorte (dalla incompatibilità tecnica della vicinanza tra videoproiettore e telecamera) provocate dal passaggio e presenza degli spettatori. Camminando nello spazio si incontravamo inoltre a terra elementi del quotidiano, ovvero cestini della spazzatura portati dai vari artisti e riempiti di immagini accartocciate e come gettate via da Ilaria Giaconi. Le immagini erano quelle degli avanzi provocati dal gruppo dopo ogni pasto nelle varie case attraversate nei giorni del
workshop. Immagini arricchite nel corso della serata dalle foto dei rifiuti provocati dai visitatori come le cicche di sigaretta, ecc. Questa azione in diretta quasi liberatrice permetteva ai presenti di appropriarsi in maniera più o meno imbarazzata delle fotografie gettate per portarsele via.
Dragana Parlac è nata a Novi Sad, ex Jugoslavia, nel 1968. Si è diplomata presso l'Accademia di Belle Arti di Belgrado nel 1992. Vive a Roma. L'artista si è concentrata sulla pratica della performance e dell'installazione con oggetti di uso quotidiano. I temi del suo lavoro affrontano sempre quel labile confine che esiste tra ritualità e improvvisa deviazione dalla norma, radici e sradicamento, esilio e bagaglio di tradizioni. Azioni banali come lo stirare o il cucinare pasticcini (dove finiscono dentro dei capelli dell'artista) diventano qualcosa di inquietante, momenti non più così ordinari ma fratture del fluire del tempo che fanno deflagrare gli stereotipi costruiti dalla società intorno all'immagine femminile o alle attività domestiche. Recentemente, l'artista è approdata al video: per il progetto Senigallia Dreams ha girato un corto dove il mare e i suoi abitanti (radiografati) sono i protagonisti di frammenti misteriosi e poetici. Ha esposto in Italia e all'estero (Canada, Francia, Jugoslavia).
Partecipanti al Workshop:
Filippo Alessi
Biografia
Wenzhouers, C-print, 2005
Giovanna Fezzi
Nata a Mestre nel 1969.
Biografia
Lamb Chops, acrilico su tela, 2005
Ilaria Giaconi
Nata a Prato nel 1970.
Biografia
At Work/Call Center, Fotocopie di oggeti dell'ufficio, proiezione diapositive, video, 2004/2005
Federica Gonnelli
Nasce a Firenze nel 1981.
Biografia
Casa senti? - installazione: legno e organza, 2005
Federico Gori
Nato a Prato nel 1977
Biografia
Sono letargico, smalto su stampe fotografiche, 50x150cm
Andrea Lunardi
Nato a Pistoia nel 1981.
Biografia
Contenitori spazio - luce - colore, dimensione variabile, 2005
Manuela Mancioppi
Nata nel 1976 a Cortona.
Biografia
Cabine MM, action in progress, 2005
Martina Menici
Nata a Prato nel 1982.
Biografia
Giallo, frammenti, tempera gialla su carta di giornale stampata, 2005.
Cecco Ragni
Nato a Livorno nel 1974.
Biografia
Radici/Contaminazioni, installazione: longherina in ferro, fili di nylon trasparente, plexiglas trasparente, acqua, 4m di diametro, 2m di lavorato in plexiglas, ad un'altezza di 1, 40m, 2005
Paula Rivas
Nata a Buenos Aires nel 1976.
Biografia
Cupido
Stefano Tondo
Nato a Lecce nel 1974.
Biografia
Still dal video ''My home?'', 2004
Luca Privitera
Nato a Petrali Sottana nel 1975.
Biografia