Roberto Ago
Martin Borowski
David Shaw
Kamen Stoyanov
Martin Creed
Jan Dibbets
Jimmie Durham
Darius Miksys
Lorenzo Bruni
Il progetto, con il pretesto di evidenziare e far convivere due tipologie di mostra apparentemente in contrasto tra di loro - quella che presenta opere in quanto immagini chiuse in loro stesse e quella che presenta invece opere in quanto processi aperti e in divenire nello spazio in cui si manifestano - vuole aprire una riflessione basica sul ruolo dei luoghi d'arte nella nostra societa' e sul perche' si realizzano le mostre collettive. In mostra opere di Roberto Ago, Martin Borowski, David Shaw e Kamen Stoyanov e gli interventi di Martin Creed, Jan Dibbets, Jimmie Durham, Darius Miksys.
a cura di Lorenzo Bruni
La Galleria Astuni presenta venerdì 10 giugno la mostra collettiva dal titolo “Museums, Galleries, Homes
and other stories”, a cura di Lorenzo Bruni, con “immagini” e “interventi” realizzati appositamente per
l'occasione da artisti di generazioni e provenienze culturali differenti. Il progetto, con il pretesto di
evidenziare e far convivere due tipologie di mostra apparentemente in contrasto tra di loro, ovvero quella che
presenta opere in quanto immagini chiuse in loro stesse e quella che presenta invece opere in quanto processi
aperti e in divenire nello spazio in cui si manifestano, permette di aprire una riflessione basica sul ruolo dei
luoghi d'arte nella nostra società e sul perché si realizzano le mostre collettive.
Queste domande che indagano i meccanismi del mostrare non vogliono spostare la questione solo su una
dimensione concettuale e astratta, ma stimolare un dialogo proficuo di scambio e di riflessione tra lo spazio
della vita e quello dell'arte e sul potere dello sguardo e dell'immaginazione da parte dello spettatore. Infatti,
tutti gli artisti coinvolti, con le loro opere puntano sempre ad alzare il livello di percezione dell'osservatore
oltre a farlo interrogare sui parametri culturali che gli permettono di riconoscere e condividere con gli altri
suoi simili il proprio “principio di realtà”.
Quello che accomuna tutte le opere di questo progetto, divenendo così un'inedita chiave di lettura, è che
nascono dalla stessa interrogazione sulle potenzialità che hanno oggi gli oggetti del quotidiano, o meglio le
loro “presentazioni” o “rappresentazioni”, di evocare la particolare relazione con il loro proprietario o con il
loro momentaneo osservatore. Infatti, le questioni che sollevano questi lavori, che indagano per prima cosa la
differenza tra opera astratta e opera figurativa, sono: Cosa è che possiamo considerare familiare o estraneo e
perchè? Quando è che possiamo dire di essere a casa e rispetto a quali parametri? Come possiamo renderlo
evidente agli altri?
Gli artisti coinvolti nel progetto “Museums, Galleries, Homes and other stories”, a cura di Lorenzo Bruni,
anche se di generazioni e aree geografiche molto diverse tra loro, sono internazionalmente apprezzati per il
loro contributo all'attuale dibattito culturale. Tra le principali manifestazioni alle quali hanno partecipato
recentemente: Roberto Ago (Roma, 1972; vive e lavora a Milano), III edizione Premio Maretti - Museo
Pecci, Prato, 2011; Senza titolo #1 - Landscapes (confini in disordine), Magazzino, Roma, 2010. Martin
Borowski (Hoyerswerda (D), 1970; vive e lavora a Berlino), Patience spielt man allein, Galerie Volker
Diehl, Berlino; Zukunft seit 1560, mostra per il 450° anniversario della Staatliche Kunstsammlung Dresda.
Martin Creed (Wakefield (UK), 1968; vive e lavora a Londra), 54. Esposizione Internazionale d'Arte,
ILLUMInazioni, Venezia, 2011; Hauser & Wirth, Mothers, London, England, 2011. Jan Dibbets (Weert,
(D),1941; vive e lavora a Amsterdam), Horizons - Musée d ́Art Moderne de la Ville de Paris – MAM/ARC,
Parigi, 2010; I Believe in Miracles - 10thanniversary of the Lambert Collection - Collection Lambert,
Avignon, 2010. Jimmie Durham (Arkansas (USA), 1940; vive e lavora a Roma), Rocks Encouraged -
Portikus, Frankfurt/Main, 2010; Museo D'Arte Contemporanea Donna Regina - MADRE, Naples, 2008.
Darius Miksys (Kaunas, Lituania, 1969. vive e lavora a Vilnius), 54. Esposizione Internazionale d'Arte,
rappresentante padiglione nazionale della Lituania, Venezia, 2011; Manifesta 8, Murcia, Spagna, 2010.
David Shaw (Rochester, New York, 1965; vive e lavora a New York), Kompass. Zeichnungen aus dem
Museum of Modern Art, NY”, Martin-Gropius-Bau, Berlin 2011; Curious Crystals of Unusual Purity, P.S.1
Contemporary Art Center, Long Island City, NY, 2004. Kamen Stoyanov (Rousse, (BG), 1977; vive e lavora
a Vienna), Biennale di Sidney, 2010; Manifesta 7, Trentino, Italia, 2008.
“Museums, Galleries, Homes and other stories”
Il progetto dal titolo “Museums, Galleries, Homes and other stories” nasce dalla sfida di far
coesistere due tipologie di mostra che genericamente sono percepite come interscambiabili, ma non
compresenti. La scelta di far convivere due concetti espositivi, l'immagine autonoma rispetto al
reale e un processo in fieri in dialogo con lo spazio stesso, determina naturalmente una
estremizzazione delle caratteristiche che dovrebbero differenziarli. Per questo se la prima sezione è
costituita da opere di fotografia, di scultura e di pittura, la seconda è caratterizzata da interventi che
si relazionano e nascono nello spazio della galleria fino a confondersi in esso. Con le opere di
Martin Borowski, David Shaw, Kamen Stoyanov, Roberto Ago abbiamo a che fare con delle
“rappresentazioni” del reale estrapolate da esso e la cui spazialità è sintetizzata e concretizzata in un
perimetro specifico attraverso tecniche apparentemente classiche, le quali permettono di etichettare
immediatamente quelle immagini come opere d'arte. Invece, con gli interventi di Martin Creed, Jan
Dibbets, Darius Miksys, Jimmie Durham è proprio la non apparente tecnica specifica e la
smaterializzazione del lavoro che conferiscono a quelle “presenze oggettuali” lo statuto di opere
d'arte, oltre a trasformare tutto il contenitore della galleria nello spazio dell'opera. Tale approccio
“tecnico” e non “tematico”, alla lettura di queste opere, costrette ad essere visibili assieme in questa
mostra, solleva la problematica di quale sia oggi il ruolo dei luoghi d'arte rispetto alla società e cosa
il pubblico si aspetti da questi ultimi. Invece, se osserviamo le opere da un punto di vista
“concettuale”, la domanda che sembra aleggiare è quali siano le caratteristiche che conferiscono ad
un oggetto d’uso comune la connotazione di opera d’arte o “solo” di elemento d’affezione.
Questa domanda, che attraversa tutto il “secolo breve” conclusosi appena dieci anni fa, è
inevitabilmente collegata a quella più atavica di “rappresentazione” e di cosa rappresentare... quale
oggetto e per chi? Adesso, in un momento in cui la “veicolazione” delle immagini coincide con la
“veicolazione” delle informazioni, il contrasto tipico del modernismo fra “rappresentare” e
“presentare”, tra “creare” e “assemblare”, determina nuovi spunti di riflessione. In questo modo la
differenza tra le due tipologie di mostra, in antitesi sul piano visivo, implode su se stessa visto che
tutte queste opere puntano a stimolare la percezione dello spettatore rispetto a cosa sta osservando
in quel momento. Questo è possibile perché gli artisti assieme al presentare o rappresentare
un'immagine del reale forniscono anche i “meccanismi culturali” che permettono di riconoscerla,
analizzarla e interpretarla. Inoltre, le opere presenti nella mostra “Museums, Galleries, Homes and
other stories”, sono accomunate dall'utilizzo di elementi del quotidiano e dal far domandare quali
siano le cause che portano un oggetto ad essere definito personale o impersonale o ad essere
osservato in maniera intima o oggettiva. La particolarità di queste opere e del loro tentativo di
mettere in dialogo lo spazio della vita e quello dell'arte è che vivono sul confine tra la dimensione
figurativa e quella astratta praticandole entrambe contemporaneamente attraverso l'azione del
ricordare, senza togliere importanza al potere dell'immaginazione.
La dimensione straniante o epifanica che anima tutti i lavori presenti fa acquistare una nuova
valenza ri-fondatrice al quesito sollevato dallo strutturalismo francese negli anni Sessanta e che
riguarda il problema dello sguardo, ovvero se esso è motivato da un riconoscere ciò che già
conosciamo o solo dalla esigenza di scoperta di cose nuove. Questo è evidente anche solo
elencando i soggetti delle opere in mostra. La tenda, che si apre e si chiude lentamente rivelando
l'esistenza del mondo esterno, dell'opera Work No. 990 di Martin Creed, il desk su cui sono
appoggiati i comunicati stampa nel quadro dipinto da Martin Borowski dal titolo “Tresen”, le
finestre circolari da cui si intravede il paesaggio esterno fotografate da Jan Dibbets nel corso dei
suoi viaggi, che però divengono delle vere e proprie “presenze” nel luogo in cui vengono mostrate
visto che sono trasfigurate e rese ellittiche dall'angolo di ripresa troppo stretto, le fotografie che
fanno parte del progetto “Cultura on the bonnet” di Kamen Stoyanov in cui la casa in campagna si
staglia dietro l'automobile con il cofano dipinto da un artigiano/creativo locale, i tronchi di legno
tagliati e accatastati come accade nei paesi freddi evocati e trasformati nelle sue sculture da David
Shaw, l'immagine della casa ideale dal titolo “rezus end” realizzata con uno dei primi programmi
per la costruzione di second life da Darius Miksys, le immagini bicrome di Roberto Ago di
perfetta ascendenza modernista e su cui si stagliano testi con la richiesta di immaginare episodi tra
l'assurdo e il possibile legati ai luoghi d'arte contemporanea, l'impatto shock della sequenza di vetri
schiantati contro la parete, che rimanda a una lite o ad un atto di rivolta, e che nel lavoro di Jimmie
Durham diviene un'esperienza surreale data la sua immaterialità di fruizione visto che avviene
attraverso la diffusione nello spazio espositivo di una registrazione audio.
Quali storie hanno da raccontare questi oggetti? Quali storie possono suggerire queste opere? Il
progetto “Museums, Galleries, Homes and other stories” nasce come riflessione o critica ai “display
espositivi” per poi arrivare ad aprire una riflessione importante sul concetto di appartenenza, di casa
e sul punto di vista da cui ripensare e dialogare con il mondo. Questa metafora della casa, evocata
ma non rappresentata dalle opere, come punto fermo da cui un soggetto può capire la sua relazione
fisica e mentale con il mondo, è piuttosto ricorrente nel corso del Novecento, forse proprio perché
solo in questo secolo, con l'avvento del mondo industrializzato, si è creata una forte
differenziazione tra spazio pubblico e privato che conseguentemente ha preparato in maniera
sistematica una nuova dimensione di nomadismo. Cosa ci appartiene? A che idea di cultura
apparteniamo? Queste sono le domande latenti che caratterizzano la nostra “modernità liquida” e
l'attuale mondo “immateriale delle comunicazioni in presa diretta”, un mondo che queste opere
astratte e figurative, impersonali e intime allo stesso tempo, cercano di analizzare e di approfondire.
Lorenzo Bruni
Immagine: Roberto Ago, The Gioconda, 2011, stampa a getto d'inchiostro su carta cotone, cm 115x80
Inaugurazione venerdì 10 giugno 2011 ore 19
Galleria Enrico Astuni
Via Iacopo Barozzi, 3 - Bologna
Orari: 10-13 e 15-19
domenica e lunedì su appuntamento