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Juliet Anno Numero 99 ottobre 2000



Manifesta 3

Maurizio Bortolotti

L'identità profonda dell'Europa contemporanea



Art magazine
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A12 Manifesta3

Phil Collins How to make a refugee video

Sisley Xhafa performance

Scrive uno dei curatori, Francesco Bonami, nel testo in catalogo: "È impossibile identificare Manifesta con un luogo dato o con un'identità. Da questo punto di vista Manifesta è (...) Eurasianstaff. Con Eurasianstaff Beuys registra l'eliminazione dell'antitesi tra Est e Ovest. (...)
Ogni passo di Manifesta 3 riflette come un sintomo la condizione europea contemporanea (...) Abbiamo proceduto non attraverso la geografia, facendo una mappa della regione, ma cercando i segni evidenti delle condizioni mentali. Città, campagne, confini non erano semplicemente dei luoghi ma identità multiple dell'Ego europeo. È molto probabile che la nostra auto-analisi abbia fallito a molti livelli, anche se il fallimento è parte integrante del processo di comprensione, di elaborazione del lutto per la perdita dell'isolamento politico e culturale, dell'autarchia creativa e dell'auto-identificazione".
In queste parole, Manifesta 3 ci viene indicata come un territorio dove le opere divengono lo specchio dell'identità europea, la quale appare frammentata e incerta ma, nel momento della riunificazione tra Est e Ovest, più reale in quanto non determinata da condizionamenti ideologici.
Così, molte delle opere esposte, soprattutto i video, portano alla luce in uno spazio pubblico, quello espositivo, contesti e situazioni che altrimenti sarebbero emarginati. L'arte lascia così affiorare e fissa nella propria dimensione visiva una realtà che normalmente viene espulsa dal sistema comunicativo. Perciò, rispetto alla dimensione tecnologica dei media che regola i nostri rapporti sociali, ed è quindi centro delle nostre relazioni nella sfera vitale, gli artisti reagiscono producendo un discorso che mostra situazioni contestuali periferiche.
In questo rapporto che si instaura tra la dimensione etica che diviene estetica in senso proprio, senza cioè alcuna spettacolarità, grazie al suo essere messa in mostra, Manifesta 3 riesce a fondarsi con efficacia. La mostra, infatti, complessivamente offre un'immagine di sé intensa e positiva; poiché ciò che essa riesce a produrre e a rendere ancora una volta evidente è il rapporto sensibile tra la dimensione artistica e la sfera vitale, vero centro dell'arte degli ultimi decenni.
Perciò, il problema del rapporto tra il luogo come spazio di vita, la città di Lubiana, e le opere diviene uno dei perni fondamentali su cui si incardina l'intera esposizione.
Tuttavia, per rimanere alle intenzioni del curatore sopra citate, anche se la città non funziona come luogo geografico preciso nel determinare il senso delle opere esposte, certo essa lo determina come sfondo, luogo emblematico di relazioni sociali, in particolare per questa porzione di Europa.
Così, la città si mostra al visitatore con uno strano carattere ibrido di ex-città dell'Est in cui si avverte ora l'influenza del capitalismo occidentale. Ciò le conferisce l'aspetto di luogo sospeso a metà tra due realtà un tempo ben determinate e distinte, ma senza che né l'una né l'altra prevalgano in modo netto. Lubiana funziona, perciò, come scenario generale che riflette il particolare rapporto che lega l'arte europea, o una parte di essa, con il proprio territorio. Mentre le opere situate in questo contesto acquistano forza grazie al fatto che la loro dimensione etico-estetica viene esaltata dal legame con la città, la quale diviene parte del meccanismo espositivo che si precisa nei luoghi in cui le opere sono mostrate: Cankarjev Dom, Moderna Galerija Cankarjeva, Mednarodni graficni likovni center, Narodni muzej Slovenije e altri spazi pubblici.
Le opere si situano perciò sullo sfondo della città realizzando una dimensione di interscambio nella quale esse si offrono quale specchio dei rapporti all'interno della sfera vitale mentre il luogo, con i suoi edifici e i suoi abitanti, diviene il contesto dinamico, lo spazio entro cui le relazioni sociali si attuano nella loro piena ed effettiva realtà. Questo scambio tra opere e luogo crea un flusso continuo, un campo di energie vitali che Manifesta 3 contribuisce a coagulare all'interno del suo meccanismo espositivo.
Perciò, attraverso alcune delle opere esposte si può cercare di delineare il territorio sensibile che definisce la mostra.
Nel video di Agnese Bule, per cominciare, rivive il mito della città baltica di Latvia a partire da un documento storico scritto nel medioevo e recentemente ritrovato. Esso parla di uomini che vivono sugli alberi e che poi cadono all'interno di barili. L'artista utilizza tali elementi del racconto in cui realtà e mito si confondono per ricostruire un'idea delle origini del luogo e collega questi pochi elementi alla situazione contemporanea della città e dei suoi abitanti. La sequenza di immagini-simbolo, uomini sugli alberi, figure umane dentro barili, fa sì che essi divengano elementi di congiunzione tra un passato remoto e il presente nel quale queste stesse immagini sembrano esercitare ancora un potere di aggregazione, divenendo un riflesso dell'identità contemporanea. La forza delle immagini trae origine dalle radici di un microcosmo vitale e dalla sua reale esistenza nella città di Latvia. In questo senso, le immagini del video, mostrando le ritrovate radici della città baltica trovano una relazione sotterranea con la città di Lubiana, la cui attuale vitalità confusa deriva dalla sua apertura alle influenze capitalistiche.
Anche nel video di Matthias Müller ci troviamo di fronte all'immagine di una città, costruita nella Savana, le cui architetture moderne acquistano una dimensione sovrastante e distaccata. Infatti, qui la città appare enorme e desolata, costruita con architetture geometriche che rivelano un senso di modernità estraniata, sopravvissuta, archeologica; una dimensione eroica svuotata dalla presenza dell'uomo. Il video costituisce la rappresentazione di una condizione di deriva, di palese perdita delle radici seguita all'estraniamento di una idea di architettura moderna nata altrove.
Uno spazio in cui è vissuta un'analoga condizione di deriva della presenza umana è offerto dalle immagini dell'irlandese Phil Collins. Nella fotografia intitolata You're Not the Man you Never Were, 2000, la cicatrice di un recente intervento chirurgico sul ventre di un uomo è il segno di una condizione umana di convalescenza, che sembra ben integrarsi con l'attuale situazione della città di Ljubljana, quale spazio di vita sociale che si va riprendendo da uno stato di torpore.
Al lato opposto di questa condizione di deriva si contrappone, all'interno del campo di sensibilità creato dalla mostra, il video di Jasmila Zbanic: After after, 1997. L'artista, riprendendo gli atteggiamenti e la vita di alcuni bambini in una scuola elementare di Sarajevo, e i loro racconti del tempo di guerra, ha costruito uno "spazio del trauma" che affiora non solo dalle parole, ma anche dalla mimica dei volti, dai comportamenti e dalle attitudini dei suoi protagonisti. La narrazione dei bambini fa affiorare una memoria dei fatti che rivela un tempo non più esistente al momento della produzione del video e tuttavia ancora palpabile come dimensione reale e invisibile intrecciata a quella presente. Una condizione al cui vertice si pone lo sguardo assente della bambina che, come ultima difesa, afferma, in un gioco di doppia assenza, di non essere stata presente al tempo della guerra.
Alla dimensione della convalescenza e del trauma si affiancano poi quella del viaggio o della fuga.
Joost Conijn costruisce da sé un aereo rudimentale e lo fa volare nel deserto del Sahara. Il video che egli ha realizzato documenta il percorso di costruzione del piccolo apparecchio, il successivo trasporto dall'Europa e la sua messa in funzione nel deserto. La sequenza delle immagini realizza una condizione di oltrepassamento in cui la condizione materiale della costruzione si risolve nell'immagine del volo, del distacco fisico da terra. Vi è cioè rappresentata una condizione di scambio tra la materialità dell'intero processo di realizzazione e l'immaterialità rappresentata dal volo nel deserto, all'interno di un territorio che appare per sua stessa natura un luogo de-territorializzato e senza confini.
Mentre nel video di Veli Granö, A Strange Message from Another Star, la fuga diviene il filo conduttore del racconto in prima persona di un uomo che per tutta la vita ha cercato di realizzare il sogno di volare dalla Terra su un altro pianeta costruendo razzi. Il video ripercorre le tappe di questa vita, disegnando i tratti essenziali di un'ossessione individuale collocata sullo sfondo delle vicende spaziali dell'ultimo dopoguerra. In esso, l'idea di partire per un altro pianeta diventa la spinta a soddisfare un istinto utopico che, nel corso di un'intera vita, realizza un cammino che esprime una condizione di purezza.
Un'altra immagine utopica è realizzata dall'architettura disegnata di Paul Noble: Lidonob 2000. L'immagine rappresenta un'architettura fantastica che interagisce tuttavia con lo spazio reale in cui si situa lo spettatore e sembra risucchiarlo all'interno di un mondo assurdo quanto possibile. La forma inclassificabile di questa architettura acquista maggiore forza proprio perché posta sullo sfondo delle architetture reali di Lubiana e sembra collegarsi ad esse proprio per il carattere socialmente indefinito dello spazio fisico rappresentato dalla città.
Il rovescio dell'architettura mentale di Noble è costituito dall'installazione di Koo Jeong-a. La sua opera costituisce non il ribaltamento del mondo all'interno di uno spazio utopico, ma al contrario un'apertura verso il mondo stesso. L'invasione sensibile dello spazio è ottenuta con piccoli oggetti quotidiani trattati come semplici frammenti di un tutto. Gli oggetti sono riuniti in insiemi senza ordine apparente, che tuttavia rappresentano l'attivazione di uno spazio fisico. L'opera possiede così un carattere di flusso vitale, quale semplice accadere di piccoli eventi che emanano una forza positiva.
Attraverso le opere citate si possono così intravedere i confini dello spazio sensibile costruito dalla Manifesta 3. La dimensione della convalescenza, del trauma, del viaggio, della condizione utopica individuale e della costruzione fisica dell'opera lasciano affiorare uno spazio visivo che si collega a una dimensione etica, di comportamento sociale. In essa, si può trovare lo spunto per la creazione di un''immagine artistica dell'Europa contemporanea che appare strettamente intrecciata alla sfera vitale, rivelandosi al di sotto di essa.
Tuttavia, la presenza di molti video e la distribuzione apparentemente casuale delle varie opere, che sembra non ancorarle a un luogo espositivo preciso, sembrano modificare il rapporto frontale con lo spettatore, cui ci aveva abituato l'arte dei decenni scorsi. Le opere sono percepite come immagini poste all'interno di un flusso continuo che, anche se crea un rapporto diretto con lo spazio vitale della città, viene percepito come distanza; quasi spazio della memoria. Queste opere sembrano, cioè, ritrarsi dal rapporto diretto con lo spettatore, rifungiandosi in una condizione di ricaduta, di ritorno e di affettività; forse quella propria di una "Borderline Syndrome".