Arte e Critica Anno 17 Numero 67 giugno-agosto 2011
Intervista a James Lingwood e Michael Morris
È dal 1991 che James Lingwood e Michael Morris dirigono Artangel, organizzazione londinese che ha commissionato e prodotto alcune delle opere più significative e visionarie di questi due decenni. Con più di 70 progetti all’attivo, Artangel è pioniera di innovativi lavori artistici realizzati in spazi non convenzionali e nei media più disparati. Per celebrare i 20 anni di collaborazione di Lingwood e Morris, Artangel, in collaborazione con alcuni artisti, ha donato alla Tate una serie di opere video che si aggiungeranno ad altri lavori già parte della collezione dell’istituzione inglese, per formare The Artangel Collection at Tate
AA: Com’è iniziato tutto?
MM: C’è da precisare che noi non siamo i fondatori di Artangel, una diversa versione di Artangel esisteva già dalla metà degli anni ’80. Non era la stessa organizzazione che noi abbiamo sviluppato in seguito, ma aveva comunque una connotazione con alcuni elementi di similitudine, come delle commissioni di progetti d’intervento urbano a Londra. Era una piccola organizzazione guidata dalla visione del fondatore e noi abbiamo avuto la possibilità di prendere il suo posto quando i suoi interessi si sono spostati altrove. A quel tempo sia io che James lavoravamo all’ICA (Institute of Contemporary Arts, London, ndr).
JL: Ovviamente la situazione da allora è mutata ma la nostra motivazione è ancora molto forte. Abbiamo iniziato a lavorare con Artangel e continuiamo ancora oggi perché sappiamo che ci sono continuamente idee originali e inusuali nelle menti degli artisti che necessitano di un’organizzazione che sia molto flessibile, fluida e preparata a lavorare con loro per portarle a compimento.
AA: Come selezionate gli artisti e i progetti?
MM: Abbiamo iniziato attraverso una sorta d’istintiva “caccia”, essendo consapevoli del fatto che molti artisti hanno idee incredibili spesso mai realizzate a causa non solo della mancanza di risorse economiche, ma anche per le difficoltà di produzione e gestione.
Alcuni artisti sono in grado di generare i propri centri di produzione, altri invece lavorano attraverso la collaborazione che Artangel è in grado di offrire. In alcuni casi abbiamo anche lanciato dei bandi aperti, il che ha prodotto alcuni lavori molto importanti come Break Down di Michael Landy e The Battle of Orgreave di Jeremy Deller, e più recentemente SEIZURE di Roger Hiorns e The Arbor di Clio Barnard.
AA: Negli anni avete realizzato progetti che molti artisti non avrebbero mai immaginato di poter “materializzare”. Quali sono state le esperienze più complicate e rischiose durante la vostra carriera?
JL: Credo che SEIZURE di Roger Hiorns sia stata una delle situazioni più difficili da affrontare fino ad ora. Il lavoro era il risultato di un complesso e vasto processo chimico, per cui circa 75.000 litri di soluzione di solfato di rame bollente sono stati pompati all’interno di un’abitazione abbandonata per creare un’affascinante crescita cristallina su pareti, pavimenti e soffitti. C’era un enorme rischio legato al progetto, avrebbe potuto funzionare e quindi cristallizzare, oppure no. E se la reazione non fosse riuscita, avremmo avuto un completo disastro.
MM: Dal mio punto di vista è stato l’accordo con Jeremy Deller finalizzato a coinvolgere i minatori del South Yorkshire per The Battle of Orgreave. Avevamo stabilito con lui che se solo uno dei minatori avesse iniziato a dubitare o a sentire di non voler partecipare avremmo abbandonato. Questa possibilità era continuamente presente. Alla fine però tutti volevano farlo e soprattutto tutti hanno capito profondamente perché il lavoro si stesse compiendo senza bisogno di discuterne troppo. In questo senso la dettagliata e minuziosa ricostruzione dell’evento che è stata realizzata rappresentava un elemento fondamentale.
AA: Oggi, dopo venti anni di direzione, donate parte della vostra collezione alla Tate.
JL: The Artangel Collection at Tate si propone di segnare questi vent’anni passati a commissionare, produrre e organizzare progetti. La nostra donazione include un sostanziale numero di opere video e film di artisti quali Francis Alÿs, Atom Egoyan, Douglas Gordon, Tony Oursler, Paul Pfeiffer, Gregor Schneider e molti altri. Questi lavori si aggiungeranno ad altre opere commissionate da Artangel già acquistate o donate in precedenza alla Tate. La collezione sarà inoltre arricchita da altri lavori che abbiamo commissionato e prodotto insieme ai nostri nuovi partner regionali Ikon Gallery, Birmingham e Whitworth Art Gallery, Manchester.
MM: Stiamo donando 9 lavori e poi 5 nuove opere saranno prodotte durante i prossimi 3 anni. L’attuale situazione ci consente non solo di consolidare quello che abbiamo già fatto ma anche di poter realizzare nuove produzioni in differenti contesti.
AA: Nuova commissione è anche il progetto dell’artista israeliana Yael Bartana per il Padiglione Polacco alla 54. Biennale di Venezia. Potreste parlarmene?
JL: Il titolo del lavoro è Lying in State, termine che in inglese descrive la tradizione per cui la salma del defunto viene esposta per permettere alla gente di portare i propri rispetti e gli ultimi saluti al morto. L’opera ha come protagonista una figura politica, insieme reale e immaginaria, leader di un partito chiamato Jewish Renaissance Movement. Ciò che si desume dal film, che è appunto di fantasia ma fortemente verosimile, è che si tratta di un politico eletto presidente e poi assassinato.
L’assassinio diventa lo sfondo del lavoro, ponendo fondamentali e difficili domande sulla relazione tra caratteristiche etniche e identità nazionale e su cosa costituisca il diritto di stabilirsi in un paese o in un territorio. Il lavoro è ambientato in Polonia e ovviamente si riferisce all’esperienza dell’Olocausto, ma si muove oltre questo dato storico, stimolando riflessioni che riguardano questioni simili in altre parti del mondo, non da ultima ovviamente quella che affligge la zona da cui proviene Bartana, Israele/Palestina.
AA: Credo che la tematica sia particolarmente attuale oggi, in questo momento di ridiscussione e ripensamento, anche in termini di politiche pubbliche, di ciò che costituisce l’identità nazionale e di cosa definisca l’appartenenza ad un territorio.
JL: Assolutamente. Inoltre il lavoro avvia una riflessione sulla storia del XX secolo, sulle molte figure di leader assassinati e su cosa succede quando questo avviene. Ciò che l’opera problematizza è anche come queste figure vengano strumentalizzate, come cioè la costruzione di un mito spesso dipenda dalle manipolazioni delle varie forze coinvolte e risponda alle loro esigenze. Ovviamente Bartana ha Yitzhak Rabin in mente, ma si può anche pensare a Gandhi o a Martin Luther King, tanto per citarne alcuni.
MM: Il lavoro è estremamente provocatorio in sé e inoltre abbiamo un’altra dimensione aggiunta, il fatto che Bartana, una radicale artista israeliana, sia stata invitata a rappresentare la Polonia alla Biennale di Venezia.
AA: Immagino che s’innescherà un dibattito molto acceso, ma del resto non siete nuovi a questo…
MM: È un fatto piuttosto straordinario e la cosa sarà probabilmente molto discussa…