Segno Anno 34 Numero 228 gennaio-marzo 2010
Tutto in un fiato
Per questa sua nuova personale a Verona, Gianni Dessì propone un percorso site-specific per lo spazio.
Caratteristica della sua più recente produzione, in luogo della pura mostra di opere, è la predisposizione di un itinerario, in modo che il visitatore più che analizzare le singolarità esposte, possa percorrere fisicamente un luogo per tappe. Essendo costretti poi a ritornare sui nostri passi, più che porci ancora come fruitori passivi, possiamo compiere un’esperienza da molteplici punti di vista. Si ha così l’impressione di attraversare una scenografia, sia materiale che mentale, dove ritroviamo l’eco degli studi di Dessì con Toti Scialoja negli anni dell’Accademia, seguiti dai suoi primi interventi sullo spazio, e dalla sua successiva attività di scenografo. Ogni oggetto del percorso si sviluppa continuamente e chiaramente su due piani: tra la scultura e la pittura, tra la materia e l’astrattismo, tra il reale e il simbolico, tra il fisico e lo spirituale e tra leggerezza e pesantezza.
Una serie di sculture dall’aspetto non finito in cui sono ancora visibili le trame del ferro e della fibra di agave, danno forma a frammenti corporali ingigantiti, come una coppia di piedi e una mano, chiamati metaforicamente confini, limiti tra l’essere e il contesto, ovvero protesi del pensiero e dell’agire. La mente è il fulcro dell’allestimento, da cui dipendono esternamente le appendici umane, ed è rappresentata da una camera picta: luogo raccolto dell’intuizione, è metafora della visione, racchiusa nella scatola cranica e in una stanza, attraversata da linee ellissoidali dipinte, che si intersecano in un cubo centrale. Lo spettatore ha modo di intravedere l’interno della camera picta da una fessura esterna ma può anche percorrerla fisicamente dall’interno, così che gli siano svelati i meccanismi della comunicazione e della produzione intellettuale, resa esplicita dalla rappresentazione visiva della naturale coreografia cerebrale di immagini.
Dessì, più che fornire un sistema filosofico, mostra ciò che può anticipare o simbolizzare l’essere al mondo. Affiancate alle sculture infatti, apparentemente pesanti, materiche e figurative, dipinge forme geometriche e astratte, spesso circolari, che si pongono come punti di fuga prospettici immaginari, oppure, come possibilità di vedere le cose da lontano e da un altro punto di vista, cubista e stereoscopico, sintetizzandone la relatività. Queste giustapposizioni, possono porsi come la traduzione letterale di due realtà conviventi nella visione umanistica di Dessì, una esterna e l’altra immanente, una visibile e l’altra invisibile. Anche nello sdoppiamento del proprio sguardo, Dessì riflette ulteriormente sulla condizione artistica, ritraendosi mentre gonfia un palloncino “tutto d’un fiato”, che è azione inutile e ludica per la società ma che parallelamente è traccia del soffio, del pneuma, che anticamente costituiva l’anima. Un’ulteriore riflessione sul meccanismo della visione (che in greco antico corrisponde alla conoscenza), è sviluppata nella scultura Trama a vista che chiude questo diario interiore, con un suo ulteriore autoritratto in cui al posto degli occhi pone un reticolo, una retìna che potrebbe porsi come metafora linguistica della rètina, speculando sulla im/possibilità di cogliere intimamente la realtà.
La sua nonchalance estetica e stilistica, a favore di una ricerca tutta focalizzata sul ritorno del puro significato, fa di questo, un artista pienamente post-moderno. Lóránd Hegyi, curatore della mostra, l’ha puntualmente definita “malinconica e sublime”.