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Juliet Anno 30 Numero 146 febbraio-marzo 2010



Natura, Naturale, Biologicamente Puro

Giuseppe Biasutti



Art magazine


Sommario
Febbraio 2010, n. 146

* Copertina di Giuseppe Desiato

* Gigantismo: metodologia o spettacolarizzazione, di Matteo Bergamini, 2° puntata

* Natura, naturale, Biologicamente Puro di Giuseppe Biasutti

* Yona Friedman, di Rosanna Fumai

* Oreste Zevola, di Roberto Vidali

* Jaap Blonk, di Enzo Minarelli

* Zivko Marusic, di Roberto Vidali

* Colonia contemporanea, di Stefania Meazza, 3° puntata, fine

* Ritratto da Milano, di Luca Carrà

* Ritratto da Trieste, di Fabio Rinaldi

* Ritratto da Torino, di Simona Cupoli

* Rubrica di Angelo Bianco

* Notiziario Spray

ecc., ecc.
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BRIGHT UGOCHUKWO EKE
“Acid Rain” 2008
ph Anders Sune Berg

PIERO GILARDI
“Visibile-invisibile” 2008
installazione
ph courtesy Museo Pecci, Prato

TOMAS SARACENO
“Biosperes” 2009

Quali sono le contaminazioni e i rapporti tra uomo e ambiente?
Lo sconfinamento tra arte, architettura e design esiste e la prova certa è rappresentata, per fare un esempio concreto, dalla mostra “Nature en kit” al Mudac di Losanna, a cura di Magali Moulinier.
Recentemente conclusasi, questa rassegna pone in evidenza l’aspetto del “verde creativo” riferito all’arte e vicino all’ambiente che, oggi, rappresenta sempre di più il futuro per tutti.
Cultura e natura, ambiente ed energia: “dentro al lavoro”, l’attitudine di un sistema di corpi a compiere un lavoro.
Un importante segno in chiave eco-sostenibile si chiama “Eco-Metropolis”, ambizioso progetto lanciato nel 2007 contro le emissioni di anidride carbonica, che vede coinvolta Copenhagen, la città che ha ospitato Klima Forum 2009, la conferenza delle Nazioni Unite. Nella capitale danese, in occasione del vertice sui cambiamenti climatici, sono innumerevoli le attività artistiche e culturali che hanno indotto alla riflessione su questo tema.“Re-Think” è l’invito rivolto da trenta artisti per il pianeta. Talenti come Olafur Eliasson, che qui è uno di casa. Chi non ricorda il suo grande sole artificiale realizzato alla Tate Modern, una palla che tramontava e sorgeva ogni giorno, trasformando l’ambiente in una spiaggia al chiuso e in un luogo di grande fascino ipnotico.

Gli autori impegnati in questa mostra, sotto la curatela di Marianna Torp, sono tra i più importanti della scena artistica internazionale, dalla nigeriana Bright Ugochu-kwu Eke con “Acid Rain” all’argentino Tomas Saraceno con “Biospheres”, la cui rappresentazione vede grandi palloni trasparenti ispirati a studi fatti sulle nubi, bolle di sapone e la perfetta geometria delle ragnatele. Non bisogna dimenticare anche il lavoro del duo Allora & Calzadilla che da molti anni sono impegnati dalla parte della denuncia. La coppia, di stanza a Portorico, ha deciso di realizzare un video sugli effetti devastanti dell’uragano Katrina nella città di New Orleans. Energia che è insita ovunque, anche nel più piccolo degli oggetti che rappresentano la “natura”, legata all’arte, in ogni sua espressione per fare da tramite con la giustizia climati-ca. Ed ecco che l’uomo deve impegnarsi nel rispettare le regole e farle rispettare usando come lingua la natura stessa, perfetta quando indica il destino e le poten-zialità di un essere vivente. Una “Public Art”, presa alla lettera, con l’intento specifico di trasformare l’opera in un’occasione di relazioni. Si veda il contributo di Domi-nique Gonzales Foerster con “Trefle” al Parco d’Arte Vivente di Torino, un grande quadrifoglio che dà l’idea dell’ “opera aperta” per sottolineare l’intervento del pub-blico in essa o, più semplicemente, considerare la presenza di Philippe Parreno alla Biennale di Venezia (2009). Egli indaga la natura dell’immagine con “El sueno de una cosa”, un insieme di dipinti monocromi bianchi le cui tele servono come schermo per la proiezione di un film. Trovare un equilibrio, tra sviluppo e conserva-zione, che consenta una “sostenibilità” sociale oltre che energetica. È cambiato il modo di vivere, si sta imponendo una nuova estetica, con grattacieli che ospitano vegetazione tra un piano e l’altro, e il rapporto con il design come forma d’arte è sempre più essenziale. Lo spazio pubblico viene di nuovo preso in considerazione, per esempio il progetto di riqualificazione del porto di Amburgo vede come unico protagonista il rapporto tra l’uomo e l’acqua, due forme di vita, ove proprio la natura vive.

Gli artisti affidano la loro comunicazione ai materiali naturali, non tradizionali, e variamente impiegati, spesso con interventi sul territorio che sono vere e proprie pro-poste per l’ambiente.
Che rapporto può esserci tra cultura e natura?
La fine degli anni sessanta vede la nascita della “Land Art” che venne spesso denominata “Earth Art” o “Site specific Art”. Interventi esplicati in ambiti aperti, sul territorio. Una sorta di minimalismo estremo dato dalla capacità da parte di un artista di apprezzare la natura allo stato “natu-rale” (greggio) e dall’idea di un concettualismo sociale atto a stravolgere le regole, come l’eliminazione della galleria, del museo e pure del collezionista. Un posto di rilievo spetta a Michael Heizer che parte dai giovanili progetti ambientali “Dirtworks” sino ad opere più impegnative come “Dispaced/Replaced Mass”, uno spostamento di tre blocchi di granito dal loro luogo naturale a un sito appositamente creato nella sabbia e consolidato in cemento.

Con l’aiuto di Bob Scull, il re dei taxi di New York e collezionista di Pop Art, riesce a realizzare una incredibile operazione artistica: sorvolare il deserto del Nevada per cercarvi un luogo da trapanare. Heizer riesce a farsi finanziare uno scavo di più di mezzo chilometro, profondo quindici metri, largo dieci, smuovendo sessanta-mila tonnellate di terra. La Land Art venne letta, al suo apparire, come una cultura alternativa, come offerta di un modo di vita non feroce, come socializzazione di valori emotivi, come teorizzazione della buona natura. Possiamo parlare a trecentosessanta gradi, che si tratti di arte, architettura o design, di artista ‘ecologico’. Egli adopera la natura come brano, come racconto paesaggistico, eseguendo modifiche e delimitando uno spazio che fino a poco tempo prima era astratto. L’artista in questo modo tenta di avere il controllo sul paesaggio, nel rispetto delle ‘regole naturali’. Una transizione che l’uomo mette in atto sul paesaggio. Uno spazialismo tradotto in fotografie che non potranno determinare sconvolgimenti urbanistici. (…) C’è l’atteggiamento di quegli artisti che impiegano materie, fenomeni fisici o chi-mici, o meccanismi che di per sé stessi riproducono un movimento previsto, ma libero e sensoriale(1).

La natura è sempre stata fonte di ispirazione per molti artisti. Tornando ad esaminare, in modo più specifico, “Nature en kit” si può constatare come la “cultura del naturale” abbia portato attraverso una ibridazione, ossia “momenti di natura” ri-fatti sempre nel rispetto di “madre natura”, ad avere nuove linee artistiche. Arte e de-sign possono essere considerati come fattori reciprocamente congrui e incongrui, allo stesso tempo, campi d’indagine vicini, ma anche lontani. Ovviamente nel de-sign le regole funzionali limitano dal punto di vista di una libertà artistica, ma ciò che accomuna è il fatto che la natura è protagonista. Esteticamente non esiste più l’uomo e la sua autoreferenzialità, ma la natura con il suo ciclo di vita fatto di crescita, ibridazione, deperimento e morte. Ecco che l’artista, indipendentemente dal mezzo usato, deve raccontare questi stadi evolutivi, magari anche copiandoli, immortalandoli, intervenendo sulla natura stessa, ma con grande rispetto.
Tra i designer “legati” alla natura spiccano i nomi di Patrick Dougherty, Ronan & Erwan Bouroullec e Vincent Kohler. La linea che accomuna questi artisti, presenti al Mudac di Losanna, non è la moda del momento, ma una coerenza ecologica e sociale. Molto importante, anche, la ricerca dell’artista italiano Piero Gilardi.
Di questi tempi se l’ambiente fosse un forziere forse non lo si lascerebbe in balia del mercato. Speriamo che la natura possa prendersi cura dell’uomo ancora per tanto, tantissimo tempo.


(1) Microemotive Art, 1968, in Precronistoria 1966-69, a cura di G. Celant, Centro DI, Firenze 1976.