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Juliet Anno 26 Numero 128 giugno 2006



Erwin Olaf

Marta Casati



Art magazine


Copertina di Rodney Graham

Real Fantasy, reportage sulla fotografia svizzera
a cura di Giacomino Pixi

Storia della performance in Italia, 2° puntata
a cura di Roberto Rossini

Morterone paese d’arte (intervista al poeta Carlo Invernizzi)
a cura di Matteo Galbiati

Erwin Olaf di Marta Casati

Napoli per te di Pietro Valle

Gursky in una foto di Timothy Greenfield-Sanders

Ryan Johnson intervistato da Anna d’Agostino

P.P.P., rubrica di Angelo Bianco

Pittura e codici? di Boris Brollo

Rubrica di Vegetali Ignoti

Spray International e Italy (notiziario mostre)

ecc., ecc.
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Se ne avverte l'artificiosa costruzione, la voluta e ricercata perfezione, l'esasperato ottenimento del dettaglio e del suo apparato decorativo. Erwin Olaf lo dichiara con la più esplicita chiarezza perché nascondere quanto voglia apparire con immediato vigore non rientra tra i suoi obiettivi.
La conseguenza (ovvero ciò che più interessa all'artista olandese) è la reazione all'azione, la provocazione alla spinta che parte dalla sua ricerca. Il come, il mezzo, la modalità con la quale mette in scena l'intervento (da una vitale e primaria importanza), procedendo nell'analisi, riducono quel valore che all'inizio sembrano rivestire.
Osserviamo Flash Back, la personale ospitata dalla galleria BnD di Milano. Lo sfarzoso palcoscenico scenografico, che in un primo momento appare claustrofobico, man mano incomincia ad annientarsi e a sminuire. Il risultato che se ne ottiene emerge minimale, tagliente, puntuale.
L'artista, a partire dagli anni Ottanta, è solito costruire set dalle giganti o ricercatissime fattezze.
Da queste impreziosite cornici le immagini che riportano la sua firma - fotografe o filmate che siano - prendono vita. Olaf abbonda con una precisione e calcolo, andando a toccare le sponde dell'oltre il dovuto.
Anche dove i personaggi acquistano arguzie estetiche ricercate (come nel video Rouge, terreno fertile per Narcisi vanitosi) lo stile resta alto, il bon ton visivo non scade in esagerazioni superflue. Olaf narra senza scendere nell'ossessione del particolare, trama una storia per poi lasciarla fluire libera, senza costrizioni temporali o spaziali. I suoi oggetti scelgono di essere icone di possibili intuizioni, probabili richiami, avverabili metafore.

E se per Rouge - purpurea e frenetica successioni di una danza travestita da football match diamantato e laccato - è ancora rintracciabile un divertissement che corre su fili dagli intrecci coloratissimi, per Rain o Annoyed il rimando è diretto a ossessioni compulsive tinteggiate da toni scuri e cupe atmosfere.
Olaf vi narra l'angoscia di una abitudinaria quotidianità incasellata in gesti ripetuti, dal peso soffocante. Il ritrovo di una domestica famigliola intorno a una tavola quasi diviene una riunione di pre-attacco in guerra: volti che si osservano fino a divorarsi, sguardi velati da ambiguità insvelate, congelate ma palesi avvisaglie.
Segni troppo evidenti per fingere che vada tutto bene. E ancora: in Rouge Olaf si diverte a invertire i ruoli, a presentare la non possibilità di dedurre certezze, incasellare, inquadrare. Un attacco alla facilità con la quale i modelli standardizzati e canonici, tanto cari agli strumenti massmediatici, sono propinati e diffusi, fino alla esasperazione più incombente.
In Annoyed gli attori non hanno la disperata necessità di stupire. Le immagini, che si rincorrono su tre schermi successivi ma non contigui, hanno il sapore di un film giallo/horror ma in stile anni Cinquanta. La grana è spessa quasi a ricordare il cinema italiano d'autore: i riferimenti vorrebbero toccare Visconti o Fellini, modelli da seguire, come lo stesso Olaf conferma.
Anche qui la costante resta il dettaglio, il ruolo che l’artista gli affida, come nelle stessi scatti. Negli interni fotografati ogni singolo oggetto sceglie il predisporsi stabilito nello spazio, una collocazione voluta e ricercata. Così il disagio di chi vi è immortalato non traspare per un particolare atteggiamento o uno stravagante agire, bensì grazie all'ordinaria cornice che li racchiude e ne racconta malati sintomi e patologie.