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Juliet Anno 24 Numero 127 dicembre 2005



Sun of fun

Vittore Baroni

Second Universal Nexus of Funtastic United Nations



Art magazine
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Un "nexus" è molto più di un festival o di un meeting tra artisti. È "un legame tra un gruppo di idee, cose o persone in relazione tra di loro" (Webster's Dictionary). È il nodo primario di una connessione allargata, il nesso logico che accomuna realtà distanti e differenti tra loro. Per questo il Second Universal Nexus of Funtastic United Nations (SUN of FUN) tenutosi il 10 e l'11 settembre scorsi a Casier di Treviso, rappresenta qualcosa di più ampio e significativo di una semplice rassegna di installazioni e performance. Simboleggia uno snodo sul limite tra arte e non arte, isolazionismo e cultura di rete, creatività (inconsapevolmente) disobbediente e cosciente (s)connessione dei linguaggi.
Il secondo appuntamento annuale con le Nazioni Unite Funtastiche, organizzato da Piermario Ciani e dal sottoscritto in forma del tutto autogestita e indipendente nell'isoletta sul fiume Sile della PARCO Fundation, con la collaborazione di Juliet e degli artisti residenti, si inserisce dunque da un lato nella sotterranea ma vivace tradizione delle nazioni virtuali e utopiche (dalla Repubblica di Platone ad Erewhon di Samuel Butler, ma pensiamo anche al Reame di Fusa, la Repubblica di Minerva, Outer Baldonia, Oceana, Kymaerica, NSK e tutti quei "fictional states" antichi e recenti a cui l'ottima rivista d'arte newyorkese Cabinet ha dedicato, per singolare coincidenza, il numero dell'estate 2005), dall'altro nel fertile alveo di una concezione dell'arte intima e collettivista a un tempo, svincolata dai meccanismi del mercato e dall'acquiescenza ai dettami di una società dello spettacolo sempre più invasiva e acefala. Un'attitudine, questa, che trae origine dalla riottosa stagione del primo Dada, movimento di poche eclettiche personalità in reazione viscerale agli efferati orrori (mai realmente conclusi) della Grande Guerra, rivoluzione etica prima ancora che estetica, nonostante le storie dell'arte cerchino spesso di spacciarne una versione museizzata e mummificata.
Dopo Dada, sono stati i Lettristi e i Patafisici, i Situazionisti e i Provos, le reti tangibili di Fluxus e della mail art e quelle intangibili della net.art più socializzante a dipanare il filo rosso di un'operatività in bilico tra politica e poetica, fantasmatica s-definizione dell'opera d'arte tradizionale (e del mito romantico dell'artista) e riformulazione di nuovi e mutevoli soggetti collettivi. Sono quegli organismi che Pablo Echaurren in uno dei suoi molti studi sulla controcultura ha definito "corpi estranei", movimenti artistici anomali (arte postale, inattualismo, ecc.), autonomi creativi (anarcociclisti, tute bianche), giocose cellule post-situazioniste (fronte di liberazione dei nani da giardino), nomi multipli (Luther Blissett Project), enti e organizzazioni devianti (associazione per lo sbattezzo, partito groucho-marxista), culti eterodossi (chiesa del Subgenio). Sono operatori che rinnegano i meccanismi dello spettacolo ma non quelli della rivelazione, la logica del mercato ma non quella dello scandalo "terapeutico". Pensate al surrealista Benjamin Péret che nel 1926 si fa fotografare mentre insulta un prete per strada. Pensate alle esposizioni di collages Moticos improvvisate da Ray Johnson nei ‘50 in parchi, stazioni e altri luoghi pubblici. L'effimero gesto quotidiano caricato di intima pregnanza, l'azione oscura compiuta col solo fine di lasciare un sigillo occulto sulla pelle del pianeta (come nel progetto A Year of Obscure Actions, che nel 2004 ha coinvolto centinaia di networker in ogni angolo del globo).
Il solido legame con le diverse tradizioni artistiche dissidenti è rappresentato a SoF dall'esposizione Prehistory of Funtastamps negli spazi gentilmente offerti da Annamaria Jodice, introdotta da una conversazione esplicativa dello storico e artista postale statunitense John Held Jr., con francobolli di numerose nazioni immaginarie per opera di pionieri della filatelia creativa come Karl Schwesig e Michael V. Hitrovo, autori Fluxus come George Maciunas e Robert Watts o leggende della mail art come Anna Banana e Guglielmo Achille Cavellini. Un altro veterano della mail art, attivo fin dagli anni ‘60, è l'americano buZ blurr, che a Casier fotografa i presenti per ricavarne poi francobolli commemorativi, con la sua originale tecnica di intaglio a stencil su vecchi negativi Polaroid. In ambito postale anche l'intervento di Sabina Romanin, che espone una serie di Fantastic Postcards, cartoline turistiche commerciali modificate con preziosi interventi "tattili" di cucitura e colorazione. E ricrea una composizione da cartolina turistica anche l'azione Fun on the Sun della serba Ana Milovanovich, che dopo essersi spogliata in tenuta balneare sulla riva del fiume, ha provocatoriamente invitato il pubblico a decorare con pennarelli, toccare e "usare" a piacimento il suo corpo. O ad appiccicarci sopra adesivi, come ha fatto Sztuka Fabryka (all'anagrafe Geert de Decker, da 18 anni curatore in Belgio di un festival artistico indipendente) applicando graffiti di navi spaziali aliene e cervelli in bolle di vetro sulle più diverse superfici dell'isola (chi ha visitato quest'anno la Biennale si sarà accorto di quanto sia diffuso il fenomeno degli "adesivi d'artista" applicati abusivamente vicino a segnaletiche e padiglioni…).
Artisti visti, dunque, come creatori e legislatori di un proprio "stato dell'io", isole separate da distanze solo all'apparenza incolmabili, cime emergenti di un'unica terra incognita sommersa. Operatori a distanza che non esauriscono nella riunione temporanea del nexus un'attività di contatti e interrelazioni reciproche che in molti casi persistono da due, tre o più decenni, con l'accumulazione già prima dell'avvento di Internet di un ricco patrimonio di esperienze e strategie "di rete" (come chiarisce la raccolta di saggi At a Distance - Precursors to Art and Activism on the Internet edita quest'anno dal prestigioso Massachusetts Institute of Technology). Reid Wood alias State of Being partecipa ad esempio a SoF con un test collettivo a distanza, inviando una serie di foglietti da distribuire senza commento ai presenti, recanti la scritta "quando ricevi questo cartoncino, dallo a qualcun altro". Daniela Cantarutti con l'azione Di mio pugno identifica una sessantina di intervenuti chiedendo loro di stringere nel pugno chiuso un pezzetto di argilla rossa, allineando poi su un tavolo i "manu-fatti", simili a vertebre, a comporre una sorta di "spina dorsale" dell'incontro.
Un valido esempio di come individualità e operatività di gruppo si fondono senza annullarsi a vicenda, in una logica che ha le sue origini nei progetti di "arte totale" dei '60 (vedi il classico studio di Adrian Henri, Total Art: Environments, Happenings, and Performance), è la partecipazione a SoF di una nutrita rappresentanza dell'associazione culturale BAU di Viareggio. All'interno della sagoma di un enorme cranio umano tracciata da Antonino Bove con picchetti metallici e nastro magnetico (supporto che trattiene la memoria) sono collocate diverse opere-installazioni: Vieri Parenti raffigura con corde di nylon e schiuma poliuretanica i terminali nervosi del cervello e i gangli del processo psichico artistico; Bruno Larini appende tra due alberi una sacrale e inquietante icona ovale racchiudente un'arma automatica, ambiguo archetipo (uovo/bomba) di vita e morte; Gianluca Cupisti conficca nel terreno una costellazione di specchietti sagomati che riflettono e catturano i movimenti delle nuvole come "parole nel cielo"; Luca Niccolai e Leonardo Palmerini costruiscono con tubi di plastica una scultura che ricorda le circonvoluzioni cerebrali, utilizzata poi come strumento musicale arcaicizzante per sonorizzare le azioni all'interno dell'installazione. Nella grande testa vengono difatti rappresentati miti e leggende dell'isola onirica di Fosgenia, dapprima una "Orazione FUNebre al Sole" in forma di fiabesco racconto allegorico con burattini di un Teatrino Oscuro operato dal dodicenne Giovanni Baroni, quindi la performance corale e ritualistica Navan: Simone Bazzichi spezza una pietra proveniente dalla cava esoterica del Maestro Vettor Pisani e trascina al centro della testa/isola l'artista/martire Daniele Poletti, che viene estratto ricoperto di vermi da una sacca di tela, assume posture plastiche ricavate da antichi disegni anatomici e viene poi legato ad un albero nella sembianza di San Sebastiano e lapidato dal pubblico con lancio di veri cervelli, prima di essere racchiuso in un germinante bozzolo vegetale. Un corto circuito di simbologie iniziatiche e processi reali (al limite della repulsione) che spinge verso la trasmutazione e l'ignoto, facendo propri elementi che hanno fatto la storia della performance art, a partire dalla sacralità mistica di Nitsch (o Jodorowsky) e dall'ideologia radicale di Beuys, passando per le poetiche della trasformazione di Gligorov e Orlan, la teatralità ultrapunk di Paul McCarthy e The Kipper Kids, la danger art di Coum Transmission e Ron Athey.
Un'altra folta rappresentanza da un "circuito artistico" parallelo - come avvenuto nella passata edizione con la mostra-convegno di autori d'ispirazione (a)patafisica - è data dai vari aderenti al Movimento Zerotre per un'Arte Effimera, presenti con una serie di azioni individuali e non. Il gruppo Open (Adolfina De Stefani, Gaia Zebellin, Antonello Mantovani) presenta la performance-installazione-cibo Ragno, che prevede una enorme ragnatela di funi abitata da grandi aracnidi e la distribuzione ai presenti su specchi-vassoi di ragni dal corpo di meringa e lunghe zampe di liquirizia. Alimentare anche la performance Due grandi anatomie producono piccoli tumori bianchi, ipercinetico balletto in cui Gaia e Adolfina in fantasiose vesti di gommapiuma distribuiscono schizzi di panna montata a tempo di una gioiosa canzoncina. Canta invece una ritmata nenia popolare Giovanni Strada mentre la moglie Renata dispone intorno a lui una spirale di spartiti poetici in forma di paperelle. Il tenero duo StraDA DA si trasforma poi in Ginger e Fred nell'azione Sogno d'Hollywood, producendosi in danza felliniana di un vecchio r'n'r, sullo sfondo di un'elaborata scenografia che comprende il manichino di una starlet, vari premi Oscar e una serie di stelle illustrate e firmate dagli artisti presenti. La Breaking action di Bruno Capatti coinvolge quattro altri performer armati di martello, che polverizzano in un cacofonico crescendo venti piastrelle di ceramica, dai cui cocci l'autore forma la parola FUN: scomposizione/ricomposizione ma anche rielaborazione/rovesciamento del lutto (il nexus si tiene in prossimità dell'l1/9, nella scorsa edizione Coco Gordon espose al sole la riproduzione in burro delle Twin Towers…). Una Synestetic Action In-diretta viene invece proposta dal Gruppo Sinestetico (Albertin/Scordo/Perseghin), ovvero l'azione registrata senza pubblico all'interno di una stanza (un personaggio che si ciba letteralmente di carta stampata) viene mostrata in diretta su monitor en plein air, con commento sonoro di brutale cut-up televisivo. Completano il quadro delle performance effimere l'Arte cieca di Fulgor C. Silvi, che nerovestito e con scuri occhiali impenetrabili si aggira tra gli astanti con un'asse ricoperto di piccoli soldatini sulla spalla, evocando il "peso" ottenebrante del militarismo, mentre una satira della "religione dell'arte" è quella messa in opera da Giancarlo Pucci nei suoi variopinti costumi astratto-geometrici da Papa della Sacerdotarte, mentre con vocione ecumenico e incensiere fallico impartisce la sua benedizione-inseminazione artistica.
Hanno un carattere ludico e irridente anche le opere installate nello spazio offerto da Carlo Fontana: così i collage e disegni in trasparenza di Gaia Zebellin, appesi al filo come pezzi del bucato, e gli interventi di Fulvia Spizzo, che distribuisce un numero speciale di Fulviet art magazine (ispirato alla rivista che avete in mano…) ed espone Contenuti di tal Tazio Ramaglia, installazione di quattro contenitori di cartone tagliati in fini striscioline regolari con effetto minimal-conceptual (il contenitore è il contenuto?). Più lambiccata ma non seriosa l'azione In certezza si cura di Enrico Minato, che in camice da dottore si diverte a commentare e cortocircuitare il significato delle scritte contenute su una serie di targhette bifronti alle sue spalle, ironizzando con precisione clinica sull'ontologia delle parole. Il concetto di dono, potlatch, spartizione e coinvolgimento ludico, connaturato alla cultura di rete e in particolare alla mail art, è evidente poi in svariate operazioni. Piermario Ciani, organizzatore e autore di logo, francobolli e materiali promozionali di SoF, ha distribuito ai presenti come souvenir un passatempo artistico in brillante plastica rossa, variazione del "gioco del 15" con la scritta Play more with FUN in luogo dei numeri, permutabile all'infinito per ore di innocente svago. John Held Jr. distribuisce fogli di francobolli Fluxus Commemoratives creati assieme a Mike Dickau. Leda Nassimbeni invece con Small Size Lives, dopo aver composto la scritta Sun of Fun con un centinaio di piccole piantine in vasetti di terracotta fatti a mano (col logo SoF impresso), invita il pubblico a scegliere un esemplare da portare a casa chiedendo "pianta grassa o pianta secca?" Silvia Giusti, intanto, distribuisce e appunta con ago e filo sui vestiti dei presenti un patch circolare in tela col volto di Miss Precarilia, progetto che tramite il sito www.missprecarilia.org intende dar voce a coloro che si trovano disoccupati o in stato di precarietà lavorativa.
Non offre doni, al contrario richiede un euro da inserire nella feritoia di una casetta per uccelli, il designer e performer genovese Roberto Rossini nelle vesti di Le Thérapeute, ovvero l'omonimo e celebre quadro di Magritte ricreato in carne e ossa. In cambio della modica somma, il misterioso artista-terapeuta, celato sotto ampio drappo di tela e cappellaccio di paglia, propone il rimedio per qualsiasi problema gli venga esposto da chi intende consultarlo, traendo da un sacchetto le sibilline risposte (al mio interrogativo sul segreto dell'immortalità, la risposta è stata "Catarsi"). Infine, Roberto Scala in Contravvenzione 2 si ribella alle ingiustizie della viabilità in Italia, vestendosi da vigile urbano e pestando istericamente sotto i piedi, dopo averle multate, automobiline ree di aver superato i limiti di velocità, incollando quindi i rottami ad un piccolo plastico stradale per ottenere un'estemporanea piccola "natura morta" tridimensionale.
Da qualche tempo viviamo in un clima di restaurazione che tenta di zittire e azzerare ogni proposta culturale non allineata, esponendo come "illusioni nocive" le istanze antiglobalizzanti, ecologiste, femministe, ecc. provenienti dal basso (vedi saggi pur perspicaci come Nation of Rebels - Why Counterculture Became Consumer Culture di Joseph Heath e Andrew Potter). Un evento appartato ma a suo modo nodale come SoF, azioni e installazioni senza apparente soluzione di continuità ma accomunate da uno spirito di arte inter-nos, ove i ruoli di autore e pubblico sono totalmente reversibili in un clima di rilassata partecipazione collettiva, basa la sua ragione di essere non su concordanze ideologiche ma su convergenze pragmatiche. La cultura di rete non si tesse in due giorni, ma è il risultato di una pratica quotidiana e di uno "stato mentale" in cui la vita vissuta come opera ha più importanza dell'opera come risultato del vissuto. Un'attitudine che FUN, come ironica entità sovra-nazionale, asseconda fornendo occasioni di incontro e producendo francobolli e banconote, passaporti e santini dei paesi virtuali, ma non leggi restrittive o trattati di belligeranza. E perfino il sole, nonostante le catastrofiche previsioni metereologiche, fa la sua comparsa come da titolo, riscaldando i lavori delle funtastiche delegazioni che per due giorni hanno turbato la calma agreste delle verdi sponde del Sile.

Vittore Baroni