Museo di arte moderna e contemporanea - MART
Rovereto (TN)
corso Bettini, 43
0464 438887 FAX 0464 430827
WEB
Sei mostre
dal 21/6/2007 al 27/10/2007
lunedì-domenica 10-18; venerdì 10-21
800 397760
WEB
Segnalato da

Flavia Fossa Margutti




 
calendario eventi  :: 




21/6/2007

Sei mostre

Museo di arte moderna e contemporanea - MART, Rovereto (TN)

Due esposizioni vedono come protagonista il pittore francese del primo 900 Maurice Denis: "M.D. Maestro del simbolismo internazionale" e "Sulle tracce di Maurice Denis. Simbolismi ai confini dell'impero asburgico". Inoltre, una personale del fotografo Claudio Abate a cura di Achille Bonito Oliva, e "Percorsi privati. Lo sguardo di un collezionista da Balla a Chen Zhen". Per finire, due artisti della nuova generazione: Luca Vitone presenta "Gli occhi di Segantini" e Matteo Basile' "The Saints are Coming", un progetto a cura di Gianluca Marziani.


comunicato stampa

Maurice Denis
Maestro del Simbolismo internazionale

Comitato Direttivo: Serge Lemoine, Guy Cogeval, Gabriella Belli
Comitato scientifico: Jean-Paul Boullion, Sylvie Patry, Isabelle Gaëtan, Nathalie Bondil con la collaborazione di Claire Denis

La mostra è organizzata da: Musée d’Orsay, Réunion des musées nationaux, Parigi; Musée des beaux-arts de Montréal e Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto

MartRovereto.
23 Giugno 2007- 25 Settembre 2007

“Ricordarsi che un dipinto – prima di essere un cavallo da battaglia, una donna nuda o un qualunque aneddoto – è essenzialmente una superficie piana ricoperta di colori assemblati in un certo ordine”
(Maurice Denis, 1890)

Il Mart di Rovereto presenta, per la prima volta in Italia, un’importante rassegna antologica dedicata all’opera dell’artista francese Maurice Denis (Granville, 1870 – Saint-Germanin-en-Laye, 1943), tra i massimi protagonisti della pittura simbolista. Negli anni della sua intensa attività, tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, Maurice Denis ha svolto un ruolo fondamentale nella storia delle prime avanguardie europee come pittore raffinato e teorico di rilievo nel dibattito artistico e culturale. Attraverso un percorso cronologico costituito da oltre cento opere, sarà possibile scoprire la sua vasta ed eclettica attività di pittore, ma anche di grafico, decoratore, fotografo, critico e storico dell’arte.

In mostra sono presenti i famosissimi capolavori della ricca collezione del Musée d’Orsay di Parigi, generosamente prestati al Mart, ma anche opere meno note e inedite, che metteranno a fuoco ogni aspetto della produzione artistica di Denis, dal periodo Nabis a quello più marcatamente simbolista, fino alla fase ispirata alla teoria di un “nuovo classicismo”. L’esposizione al Mart, dopo le tappe di Parigi e Montréal, si tiene dopo oltre dodici anni dall’ultima mostra itinerante, ospitata in alcuni importanti musei europei. È questa quindi un’occasione unica per scoprire l’ampiezza e l’originalità della ricerca pittorica di Maurice Denis, ma soprattutto per cogliere la novità del suo fondamentale contributo alla storia dell’arte europea tra Ottocento e Novecento.

L’artista francese gode oggi di una rinnovata considerazione da parte della critica internazionale, anche a seguito delle recenti esposizioni monografiche dedicate all’opera di Edouard Vouillard e Pierre Bonnard, suoi contemporanei e con lui esponenti di rilievo del gruppo dei Nabis. Maurice Denis è “veramente al centro della pittura del suo tempo”, come afferma Serge Lemoine, presidente del Musée D’Orsay, nell’introduzione al ricco catalogo della mostra (edito da Skira). Nella sua pittura, “la linea diventa arabesco e genera la stilizzazione delle forme, come in Ingres e Puvis de Chavannes o, più tardi, in Matisse. Questa grande scuola di pensiero attraversa tutto il XX secolo”.

La mostra ricostruisce la sua lunga attività pittorica, la formazione culturale, le fonti di ispirazione e gli artisti a cui Maurice Denis guardava per dare forza alla propria ricerca artistica. Tra il 1889-1897, il “Nabi dalle belle icone”, come era soprannominato all’interno del gruppo, elabora, in un personalissimo linguaggio espressivo di forte valenza decorativa, visioni intime e familiari come in Martha al piano del 1891, ma anche riferite all’immaginario sacro e religioso come nel Christ vert, del 1890. Ed è quest’ultimo, forse, il carattere più importante dell’opera di Denis, interprete di una religiosità nuova, drammaticamente venata di “nostalgia per la fede perduta”, che l’artista esprime fin da giovanissimo, quando sulle pagine del suo Diario scrive: “è necessario che io sia pittore cristiano, che celebri tutti questi miracoli del cristianesimo, sento che è necessario”.

Nello stesso tempo Denis ambisce a creare una pittura più monumentale, ispirata alla grande tradizione dell’arte murale dei maestri del Rinascimento italiano: di grande impatto saranno le opere di Raffaello e Beato Angelico, che l’artista ha modo di osservare durante uno dei suoi numerosi soggiorni in Italia. Maurice Denis è una straordinaria figura di artista-intellettuale, con all’attivo numerosi saggi di teoria, storia e critica d’arte, come Teorie 1890-1910, pubblicato nel 1912 e Storia dell’arte religiosa, del 1939. Lo studio sistematico delle opere dei suoi maestri, tra i quali si possono annoverare Pulvis de Chavannes (il “grande oratore cristiano”), Paul Gauguin e Paul Cézanne, così come le influenze dell’arte giapponese decisive in quegli anni per il rinnovamento artistico europeo, rafforzano il suo interesse per gli effetti decorativi nella pittura e per le arti applicate.

Negli anni a cavallo tra i due secoli, Denis definisce ed elabora la teoria di un “nuovo classicismo” pittorico, in cui le scene intime e familiari e le rappresentazioni a carattere sacro sono tradotte in nuove forme classiche e monumentali. In mostra si potranno ammirare opere quali Baigneuses, Perros del 1898 proveniente dal Moma di New York e alcuni dipinti legati al tema delle “Spiagge” dove Denis, ispirato dall’antica bellezza del paesaggio della Bretagna, trasfigura scene di vita quotidiana e familiare in una dimensione i cui i miti della classicità svelano una forza senza tempo.

A partire dal 1919 (anno della morte di Marthe, la prima moglie, e della comparsa della malattia agli occhi), Denis si inserisce nei grandi movimenti artistici d’avanguardia maturando un “modernismo temperato” testimoniato dai grandi “cicli decorativi” a contatto con la spazialità architettonica, come la gigantesca vetrata della chiesa di Notre-Dame du Raincy progettata da Auguste Perret nel 1923-27.

L’esposizione del Mart rivelerà anche il talento dell’artista come grande disegnatore e illustratore. Lo dimostrano la serie di disegni e gouaches per la “Sagesse” di Paul Verlaine e per i “Fioretti” di San Francesco, in mostra per prima volta dopo l’acquisizione da parte del Musée d’Orsay. Totalmente inediti per il pubblico italiano sono anche due importanti cicli decorativi: la Légende de Saint Hubert, 1897, e la Glorification de la Croix, 1899; così come una selezione delle fotografie, il cui intero fondo è ancora di proprietà privata, scattate dallo stesso Maurice Denis, necessarie per comprendere le fonti di ispirazione delle sue creazioni pittoriche.

Infine, di grande importanza è il ruolo che Maurice Denis ha svolto all’interno del dibattito culturale del suo tempo. Jean Paul Bouillon, a cui si devono i più recenti e importanti approfondimenti sull’opera dell’artista, nel suo saggio in catalogo, approfondisce il profilo intellettuale dell’artista, nonché il denso e affascinante itinerario della sua produzione teorico-critica.


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Sulle tracce di Maurice Denis. Simbolismi ai confini dell'impero asburgico

A cura di: Gabriella Belli e Alessandra Tiddia
in collaborazione con: Barbara Bottacin, Günther Dankl, Margherita de Pilati, Carl Kraus

MartTrento
23 giugno - 28 ottobre 2007

Nella sede di Palazzo delle Albere a Trento, la mostra “Sulle tracce di Maurice Denis. Simbolismi ai confini dell'impero asburgico” presenta, attraverso un centinaio di opere provenienti da musei e collezioni private, oltre che dalle raccolte del XIX del Mart, i risultati di una ricerca inedita dedicata alla ri-scoperta di quell’ “effetto simbolismo”, che influenzò in modo decisivo la cultura artistica delle ex province asburgiche del Tirolo e del Trentino-Alto Adige. In questi territori, artisti come i trentini Giovanni Segantini, Luigi Bonazza, Luigi Ratini, Benvenuto Disertori, così come gli altoatesini e i tirolesi Alois Delug, Leo Putz, Albin Egger Lienz, Max von Esterle, Artur Nikodem, Carl Moser, per citare solo alcuni nomi dei pittori presenti nell’esposizione, subirono l’indiscusso fascino e l’influenza di questo movimento, trovando nella sua poetica una nuova via d’espressione artistica. Grazie anche all’intreccio con il portato di novità figurative della Secessione di Monaco e di Vienna, il Simbolismo aprì la strada al rinnovamento della loro sensibilità artistica e, in senso più generale, contribuì all’affermazione di una precoce modernità “internazionale” nei luoghi delle ex province asburgiche.
La mostra a cura Gabriella Belli e Alessandra Tiddia, si avvale del contributo scientifico di Barbara Bottacin, Günther Dankl, Carl Kraus.

Nella prima sala sono presentate alcune delle tematiche principali del Simbolismo internazionale, lette e interpretate dai diversi artisti in un arco cronologico che va dalla fine degli anni Ottanta dell’800 al secondo decennio del ‘900. Si tratta dei grandi temi della vita, il destino, la nascita, la maternità, la morte, il rapporto fra maschile e femminile, la nostalgia del vivere con e nella natura, il misticismo e la religione, temi frequentati con stili e gesti pittorici differenti.

A illustrare queste tracce tematiche sono stati scelti dei tableaux drapeaux, dei quadri simbolo a loro volta, in grado di fornire delle chiavi di lettura, dei percorsi visivi che attraversano in fasi differenti gran parte della cultura figurativa di questa regione, a suo tempo interamente raccolta sotto l’impero asburgico. Apre questa sezione la grande tela Norne del 1895 di Alois Delug, presentato all’Esposizione Universale di Parigi nel 1900, pervaso di una cromia fortemente azzurra che conferisce al dipinto un’atmosfera di mistero, onirica, di malinconica nostalgia. Dell’ artista altoatesino sono presenti in mostra anche altre opere come Venti di marzo, forse il suo dipinto più noto, lodato da Vittorio Pica alla prima Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia del 1895, dove era stato esposto con grande successo.

Il tema simbolico della vita affiora anche negli altri capolavori presentati nella prima sezione, come ad esempio L’angelo della vita (1894) di Giovanni Segantini, nella versione ad olio proveniente dal Museo di Lipsia, e nel monumentale dipinto di Albin Egger Lienz intitolato La vita. Un altro tema fondamentale è quello del paesaggio affrontato dalla maggior parte degli artisti delle tre regioni: da Segantini, a Bezzi, a Prati, a Nikodem, a Moser, a Moggioli. L’interpretazione lirica della natura si trasforma qui in una sintassi linguistica che tende alla sintesi, sia cromatica che compositiva, in linea con le ricerche dell’avanguardia del tempo.
Infine un ulteriore nucleo problematico è rappresentato dal ricorso al mito e all’allegoria, a cui si riferiscono soprattutto i trentini Luigi Bonazza, Luigi Ratini e Benvenuto Disertori. Di grande impatto, il trittico dipinto nel 1905 da Luigi Bonazza dedicato al mito di Orfeo.

La mostra prosegue con le sale monografiche dedicate ai singoli protagonisti, il cui percorso formativo, pur producendo esiti fra loro molto differenti, è accomunato tra l’altro dalla scelta dei luoghi del loro apprendistato. Monaco e Vienna sono preferite a Parigi, non solo per una comodità linguistica o culturale o per la prossimità geografica, ma anche perché in questi anni alla visita ai Salons parigini si va sostituendo la frequentazione delle grandi esposizioni internazionali organizzate dalle Secessioni, ormai assurti a luoghi della modernità.
I riferimenti non riguardano più solamente il Simbolismo francese, ma un Simbolismo internazionale, declinato attraverso i protagonisti delle due Secessioni, Franz von Stuck e la “Jugend” a Monaco, Gustav Klimt e la Wiener Werkstätte a Vienna, ma anche Giovanni Segantini, Ferdinand Hodler, Fernand Khnopff, Max Klinger, Arnold Böcklin, Edvard Munch, presenti nelle grandi esposizioni internazionali e sulle pagine delle riviste specializzate.

Il risultato più evidente è sicuramente l’avvio di un processo di sintesi formale che paradossalmente è accolto con più facilità da quegli artisti provenienti da una consolidata tradizione di pittura di storia e di genere, vale a dire dagli artisti austriaci, da Artur Nikodem, da Carl Moser, gli unici a soggiornare in Francia e dal trentino Umberto Moggioli. Dieci anni dopo la costituzione ufficiale del Groupe Synthétiste nel 1891, Carl Moser aveva soggiornato a Parigi, in Bretagna e in Normandia. Dal 1901 al 1907, Moser viene a contatto con la produzione artistica del movimento Nabis, uno stimolo che non solo risveglia in lui l’interesse per la xilografia colorata giapponese, nella quale Moser trova il mezzo ideale di espressione artistica, ma gli trasmette anche uno stile ornamentale dalle superfici appiattite.

Anche Artur Nikodem è a Parigi, già nel 1891. Nikodem cita retrospettivamente Manet e Cézanne tra le sue fonti d’ispirazione. Sotto l’impressione dell’esperienza francese, che comprende probabilmente anche già le opere di Gauguin o del gruppo Nabis, oltre all’arte del Secessionismo, Nikodem inizia a utilizzare sempre più il colore in ampie campiture cromatiche di intento decorativo, come forma espressiva del suo sentire interiore.
Il linguaggio formale del Sintetismo e dei Nabis, che ne subiscono l’influenza, non fa breccia solo tra gli artisti a nord e sud del Brennero, ma anche tra quelli trentini, che ne rimangono profondamente influenzati. In particolare in Tullio Garbari, nel cui Paesaggio animato del 1916, si riconosce un’evidente affinità elettiva con la pittura dei Nabis. Garbari individua ben presto il richiamo al primitivismo di questo gruppo di artisti e la composizione formale del paesaggio racchiuso da contorni netti, che rasenta l’astrazione, evidenzia le affinità con le avanguardie francesi.

Il catalogo edito da Skira, presenta testi di Gert Ammann, Gabriella Belli, Barbara Bottacini, Carl Kraus, Günther Dankl, Margherita de Pilati, Daniela Ferrari, Laura Lorenzoni, Alessandra Tiddia.
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Claudio Abate. Fotografo.

a cura di Achille Bonito Oliva
Mart, Rovereto
dal 23 giugno 2007 al 7 ottobre 2007

Il lavoro di Claudio Abate (Roma 1943), il grande fotografo italiano che dagli anni Sessanta ha documentato e raccontato le più significative esperienze artistiche internazionali, è presentato per la prima volta in una grande retrospettiva. Curata da Achille Bonito Oliva, l’esposizione del Mart rende omaggio al grande artista-fotografo che con il suo particolare sguardo e la sua tecnica personale, è stato il “testimone oculare” dei fermenti che hanno caratterizzato la storia dell’arte negli ultimi cinquant’anni.

Claudio Abate inizia la sua attività da professionista nel 1961 quando lavora per Life Magazine come assistente di Eric Lessing, uno dei fondatori dell’agenzia Magnum. Tuttavia, già nel 1959, con il ritratto all’amico artista Mario Schifano, si intravedono i primi elementi del suo particolare filone di ricerca.
Da questo momento Abate comincia a frequentare i luoghi e i protagonisti della cultura artistica internazionale, documentandone i caratteri principali, attraverso un fitto e serrato dialogo con gli artisti e le loro opere.

L’esposizione presenta una selezione di 120 fotografie, scelte dall’ampio archivio di opere dedicate al ritratto e alla “fotografia d’arte”. Si tratta di immagini costruite con una sapiente regia interpretativa, il cui obiettivo è quello di “appropriarsi” della complessità dei processi espressivi e comunicativi degli artisti.
Le fotografie di Claudio Abate riprendono eventi irripetibili e colgono performance complesse in una dimensione che sembra essere l’unica per osservare l’opera nel suo insieme. Claudio Abate riesce a cogliere momenti speciali che senza le sue immagini non potrebbero essere documentati e sarebbero scomparsi senza lasciare traccia. Qui troviamo opere che hanno scritto la storia della fotografia italiana, come quella dedicata ai Cavalli di Kounellis all’Attico nel 1969, oppure a Lo Zodiaco di Gino de Dominicis, nel 1970: immagini che mettono in relazione lo spettatore, l’opera e il suo ambiente.

Questi punti di vista sul lavoro dell’artista, come lo stesso Abate dichiara, sono capaci “di riassumere in sé l’opera intera, perché quasi sempre rimane una sola immagine del lavoro e questa deve essere necessariamente la foto definitiva dell’opera, quella che l’artista riconosce e accetta come fosse sua”.

In questa prospettiva critica, Achille Bonito Oliva ha voluto offrire uno spaccato significativo del lavoro dell’artista-fotografo: dalle prime sperimentazioni a contatto con gli artisti come Mario Merz, Christo, Eliseo Mattiacci, Vito Acconci, agli scatti a colori dedicati a Joseph Beuys, fino al progetto “Obscura” in cui Abate ha sviluppato una nuova forma di dialogo con gli artisti all’interno della “camera oscura”.
La mostra del Mart offre al pubblico un’occasione unica per cogliere il segreto del lavoro di Claudio Abate, che, come sottolinea il curatore “non è solo un inviato speciale del linguaggio dell’arte, ma anche qualcuno che all’arte ha portato un contributo personale, diventando ministro dello sguardo.”

La mostra è arricchita da un catalogo ampiamente illustrato, a cura di Achille Bonito Oliva ed edito da Photology, Milano.Oltre a un saggio critico di Bonito Oliva, il volume riporta anche scritti e testimonianze di Jean-Luc Monterosso, Giuseppe Capitano, Giulio Paolini, Jannis Kounellis, Piero Pizzi Cannella e un’intervista di Mario Codognato.

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Percorsi Privati. Lo sguardo di un collezionista da Balla a Chen Zhen.
a cura di Gabriella Belli e Alberto Fiz
Mart, Rovereto
dal 23 giugno 2007 al 7 ottobre 2007

Dal 23 giugno cinquanta capolavori dell’arte italiana, depositati al Mart nel 2005 grazie alla collaborazione di una prestigiosa raccolta d’arte, saranno per la prima volta presentati al pubblico nella loro completezza. “Percorsi privati. Lo sguardo di un collezionista da Balla a Chen Zhen”, curata da Gabriella Belli e Alberto Fiz, è un’occasione preziosa per ricostruire un nuovo capitolo del ricchissimo collezionismo privato del nostro Paese, che segue la presentazione nelle sale del museo, della collezione VAF- Stiftung, della Raccolta Giovanardi e della Collezione Grassi.

La mostra racconta attraverso i quadri e le sculture, la storia di una passione viva per l’arte moderna, una passione che oggi, come in passato, continua ad arricchire la raccolta, aperta ora ad accogliere l’opera di grandi maestri contemporanei. Sarà arricchita da una serie di opere di artisti che non fanno parte del deposito, ma che costituiscono un completamento importante per comprendere la sensibilità del collezionista.

Accanto ad una serie di opere dei maestri italiani come Giacomo Balla, Felice Casorati, Filippo De Pisis, Marino Marini, Giorgio Morandi, Alberto Savinio, Mario Sironi, Ardengo Soffici, sarà possibile ammirare le opere realizzate da alcuni dei maggiori protagonisti italiani e internazionali a partire dalla seconda metà del secolo scorso fino ad oggi: Jean Fautrier, Giuseppe Capogrossi, Gastone Novelli, Emilio Vedova, Josef Albers, Antoni Tàpies, Fausto Melotti, Lucio Fontana, Piero Manzoni, Alberto Burri, Enrico Castellani, Mimmo Rotella, Mario Schifano, Daniel Spoerri, Alighiero Boetti, Alex Katz, Michelangelo Pistoletto, Gilberto Zorio, Sandro Chia, Mimmo Paladino, Nicola De Maria, David Salle, Anish Kapoor, Christo, Tony Cragg, Ilya Kabakov, Anselm Kiefer, Christian Boltanski, Chen Zhen.

Il nucleo attuale della collezione è andato formandosi a partire dalla seconda metà degli anni Settanta e nel 1977 ha fatto la sua comparsa una significativa composizione di Filippo De Pisis proveniente dalla collezione Pecci Blunt seguita, nel 1980 dall’acquisizione di “Maternità” di Felice Casorati. In una prima fase è stata soprattutto la linea figurativa a prevalere, con un’attenzione specifica per i maestri italiani. Nel 1984 viene acquistato il capolavoro di Alberto Savinio “Gomorrhe” realizzato nel 1929.

Verso la fine degli anni Ottanta si attua un allargamento della prospettiva e la collezione dimostra una particolare sensibilità verso i fenomeni più significativi del secondo dopoguerra come dimostrano, tra l’altro, le acquisizioni di fondamentali testimonianze di Vedova, Dorazio, Tapies, Manzoni e Burri. A partire dal Terzo Millennio, dato per acquisito l’intento primario di documentare nuclei fortemente rappresentativi dell’arte italiana del Novecento, la collezione ha proseguito il suo cammino dimostrando una specifica attenzione nei confronti delle esperienze contemporanee internazionali.

Lo confermano l’acquisto di “Senza titolo” di Kapoor nel 2001 e, nello stesso anno di “Vases”, una grande opera in ceramica di Tony Cragg. Grande attenzione anche per Anselm Kiefer di cui vengono acquistate “Elizabeth von Osterreich” del 1991 e “Am anfang” del 2003 che riconducono a due fondamentali fasi creative del maestro tedesco. In questa costante attenzione verso il contesto internazionale, s’inseriscono anche Katz, Kabakov, Salle e, infine, Chen Zhen, l’artista cinese a cui si guarda come a un maestro ormai affermato.
Parallelamente continua l’acquisizione di opere delle avanguardie storiche italiane, e a tal proposito va segnalato che, poco prima della donazione al Mart, nel 2004, in questa collezione è entrata una delle opere fondamentali di Giacomo Balla, la Compenetrazione iridescente n°4 del 1912. Ma la raccolta non è certo esaurita e nel 2006 ha fatto la sua comparsa Autel Lycée Chases del 1989 un’installazione di particolare significato del maestro francese Christian Boltanski.

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Luca Vitone. Gli occhi di Segantini
a cura di Giorgio Verzotti
Mart, Rovereto
dal 23 giugno 2007 al 23 settembre 2007

Gli occhi di Segantini è l’opera inedita che Luca Vitone (Genova, 1964), ha progettato appositamente per gli spazi esterni del Mart. Luca Vitone da anni interpreta e rielabora la storia e la cultura del territorio in cui espone. Con i suoi interventi, che si possono riferire alle esperienze dell’arte concettuale, l’artista evoca il vissuto collettivo che ogni luogo porta con sé.

Invitato da Giorgio Verzotti a realizzare un progetto specifico per il Mart, Vitone si è rivolto alla memoria culturale del Trentino, alle sue montagne ed è risalito fino ad uno dei suoi protagonisti, Giovanni Segantini (Arco, Trento, 1858 - monte Schafberg, Pontresina, 1899) di cui il museo possiede alcune opere. Con questo lavoro l’artista propone, in una grande scultura esposta nella piazza del Mart, la ricostruzione in misure reali dello studio che Segantini si costruì a Maloja, piccolo borgo tra le montagne dell’Engadina, dove il maestro divisionista lavorò per molti anni e dove, ancora giovane, morì.

Le grandi dimensioni dell’opera consentiranno al pubblico di entrare nel suo spazio circolare per vedere e vivere l’intervento di Vitone: la ricostruzione del profilo di quei monti che Giovanni Segantini vedeva ogni giorno e che così spesso ha rappresentato nella sua pittura. Luca Vitone non intende ricordare il grande maestro rileggendone l’opera compiuta, ma evocandone una incompiuta. Si tratta dell’opera monumentale che Segantini aveva proposto per rappresentare la Svizzera all’ Esposizione Universale di Parigi del 1900. Il progetto consisteva in un “panorama”, cioè una pittura di vastissime dimensioni che aveva l’ambizione di rappresentare realisticamente la totalità di un paesaggio su una parete circolare.

Il progetto non fu mai portato a termine per ragioni meramente economiche. Luca Vitone simbolicamente porta a termine ciò che era rimasto incompiuto: replica la rotonda panoramica, cioè lo studio di Maloja, che sarebbe servita come modello del padiglione all’esposizione di Parigi e la inserisce nel panorama trentino.
Un omaggio alla storia e all’arte del Trentino, in onore del suo pittore più amato, ma anche un’ulteriore riflessione dell’artista contemporaneo sul rapporto tra arte e natura.

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Gianluca Marziani
Mart, Rovereto - Project Room
dal 23 giugno 2007 al 26 agosto 2007

The Saints are Coming è il titolo del progetto di Matteo Basilé, a cura di Gianluca Marziani.
Un percorso di grandi immagini fotografiche, un video e la sua prima opera scultorea, attraverso il quale l’artista intende raccontare la sottile linea che separa la visione del folle dal Santo, l’uomo dalla donna, la bellezza dalla mostruosità: una serie di rappresentazioni che sfiorano, metaforicamente, il mistero della vita e dell’universo.

Matteo Basilé, nato a Roma nel 1974, dove vive e lavora, ha esordito giovanissimo, verso la metà degli anni Novanta utilizzando e sfruttando, da subito, le potenzialità del digitale, trovando continuamente nuovi e personali linguaggi espressivi

Immagine Maurice Denis

Inaugurazione 22 giugno 2007

MartRovereto
Corso Bettini, 43 - Rovereto

MartTrento - Palazzo delle Albere
Via R. da Sanseverino, 45 - Trento

Orari: mar. – dom. 10.00 - 18.00; ven. 10.00 - 21.00; lunedì chiuso
Biglietti: intero: euro 8; ridotto: euro 5; gratuito fino a 14 anni

IN ARCHIVIO [227]
Due mostre
dal 3/12/2015 al 2/4/2016

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