Ufficio Creativita' Giovanile del Comune di Milano
Una storia possibile. La mostra fotografica, risultato di un seminario tenuto da Roberto Mutti, presenta i lavori degli studenti dell'ultimo anno del corso Superiore Professionale di Fotografia.
a cura di Roberto Mutti
Istituto Italiano di Fotografia (IIF) porta a termine anche quest’anno il progetto a carattere didattico che fa parte di una serie
di seminari tenuti da Roberto Mutti (critico e giornalista del quotidiano La Repubblica, Docente presso IIF) al 2° e ultimo anno
del Corso Superiore di Fotografia Professionale sul tema letteratura e fotografia: dopo il seminario “Sulle orme di Odisseo” -
reinterpretazione fotografica del personaggio Omerico - e “Le meraviglie di Alice” - interpretazione fotografica su mondo di
Lewis Carroll - quest’anno il tema scelto è stato quello legato all’universo di Collodi e di Pinocchio, uno dei libri più letti, non
solo in Italia.
Giovani talenti dell’ultimo anno del corso Superiore Professionale di Fotografia espongono le loro opere, frutto di riflessioni
sulle vicende del famoso Burattino, per una rivisitazione della storia in cui le diverse interpretazioni si intrecciano fino a
percorrere le tante possibili strade che Carlo Collodi ha indicato. Immagini dal sapore noir, a tratti malinconiche e visionarie,
vengono così esposte - come fossero simbolicamente risucchiate - dentro la pancia del famoso pescecane che tutto assimila
e ingurgita “con la bocca spalancata, come una voragine” e conducono il visitatore in uno dei mondi possibili, che forse tra i
tanti presentati dall’autore, è quello che meglio rispecchia l’inquietudine contemporanea.
L’evento è patrocinato dal Comune di Milano e dalla Fondazione Nazionale Carlo Collodi.
La mostra nasce sotto l’egida di Art Side, il dipartimento creativo di IIF dedicato ai progetti artistici, alle esposizioni e agli
incontri a tema per dare visibilità ai propri talenti, nella convinzione che i momenti di formazione non si esauriscano in aula
ma proseguano nella cultura delle immagini.
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Provate a cercarlo quel libro nelle antologie di letteratura, nelle direttive scolastiche che il perfido linguaggio
burocratico definisce “indicazioni riguardanti gli obiettivi di apprendimento”, nelle biblioteche dei licei. Ebbene, in tutti
questi luoghi fisici e mentali “Le avventure di Pinocchio” non lo troverete e questa, che pure è un’esclusione
scandalosa, è forse anche la sua fortuna perché al romanzo scritto nel 1881 da Carlo Lorenzini con lo pseudonimo di
Carlo Collodi è stata risparmiata l’onta della lettura obbligata. Come, infatti, augurare a questa deliziosa opera - ancora
carica di un’invidiabile freschezza - il destino conosciuto da Carducci e Manzoni, Montale e Leopardi, quello cioè della
ripetizione mnemonica, dell’analisi inutilmente minuziosa raccontata in migliaia di aule scolastiche? Già, perché
perfino nelle case di chi ha poca dimestichezza con i libri quel romanzo un posto se l’è da tempo conquistato e lo
mantiene passando di mano in mano, letto, ascoltato, immaginato, raccontato, forse perfino sognato. E poi – molti
forse ne saranno sorpresi – “Le avventure di Pinocchio” è un libro irrinunciabile per un pubblico sterminato, visto che
è stato tradotto in 240 lingue ma il successo non gli ha impedito di essere anche contemporaneamente amato da
raffinatissimi intellettuali. Pescando in un lunghissimo elenco si possono citare Carlo Chiostri e Giovanni Mosca che lo
hanno illustrato, Luigi Comencini e Roberto Benigni che lo hanno filmato, Carmelo Bene che lo ha messo in scena,
Giorgio Manganelli che lo ha analizzato criticamente in un saggio elegantissimo di raro acume ma anche Stephen
Spielberg e Tim Burton che a Pinocchio continuano a pensare o Carlo Rambaldi che prima o poi riuscirà a costruirlo
con la sua inventiva poetico-scientifica.
Una cosa va detta con forza: al contrario di quanto molti pensano, “Le avventure di Pinocchio” non è quel che sembra,
un romanzo rivolto ai bambini come lo è invece il suo precedente “Giannettino”. Troppo complessa, troppo carica di
simbolismi, troppo umbratile questa storia per non immaginare di doverla trattare con attenzione sospetta. Anche la
trama non è così semplice da riassumere perché il percorso è tortuoso, impregnato di contraddizioni, ricco di
personaggi, carico di sorprese, svolte, colpi di scena. I riferimenti letterari sono nobili – la solida struttura da romanzo
picaresco, il nome di Pinocchio che riprende quello dello Zanni della Commedia dell’Arte, l’evidente citazione de
“L’asino d’oro” di Apuleio qui depurato dei suoi elementi mistico iniziatici – ma il tutto è calato in una realtà sociale,
quella dell’Italia di fine Ottocento, che resta sullo sfondo. Per quanto immersa in una dimensione sospesa e quasi
atemporale, la storia si svolge in un Paese di trenta milioni di abitanti il 70% dei quali impiegati in agricoltura, che
avevano un’aspettativa di vita di 33 anni e che subivano una mortalità infantile del 25%. La “Tassa sul macinato” che
proprio nel 1881 sarebbe stata prima attenuata e poi abolita dopo la grande mobilitazione di protesta, comprimeva le
campagne cui il Parlamento – eletto dal 2% della popolazione – dedicava poca attenzione e quando lo faceva era per
assecondare gli interessi dei latifondisti. Era un mondo semplice quello che gli occhi furbi di Pinocchio osservavano,
quello dove bisognava ingegnarsi anche per rimediare qualcosa da mangiare, dove le merci erano rare, dove il
risparmio non era solo una scelta ma un’atavica necessità. Ed è su questo sfondo che tutto si muove evocando la Vita
– il legno già parla ed è ancora informe – e la Morte, la Sincerità dei sentimenti e l’Inganno dei gaglioffi, lo Spazio e il
Tempo continuamente compressi o dilatati, l’Essere e il Dover Essere, la Realtà e l’Illusione, la Saggezza un po’ noiosa
e l’Ignoranza supponente, il rivelarsi e il nascondersi, l’Amore e la Crudeltà, l’apparente linearità della narrazione e le
mille trappole dialettiche che nasconde.
Più leggi questo libro e più scopri particolari sorprendenti che accettiamo pur nelle loro evidenti contraddizioni: armadi
chiusi come nelle favole, esseri di legno che soffrono fame e sete come nelle leggende, animali parlanti come nei miti,
inseguimenti notturni come nella letteratura noir.
Era inevitabile che un materiale dotato da tanta ricchezza potesse far da punto di riferimento per un gruppo di ragazzi
– tutti diplomandi dell’Istituto Italiano di Fotografia – che per un anno sono stati stimolati ad interpretare “Le avventure
di Pinocchio” per far emergere una loro personale interpretazione, liberi di esprimersi senza vincoli che non fossero
quelli del costante richiamo al testo letterario. Il risultato che qui viene pubblicato intende così indagare nelle atmosfere
collodiane facendone emergere le mille sfumature che l’immagine sa evocare. Usando i colori più intensi e il
bianconero più delicato, sintetizzando tutto in una sola immagine o creando una sequenza fortemente narrativa,
attualizzando ironicamente i personaggi o immergendoli in atmosfere oniriche, i giovani fotografi hanno così creato un
labirinto di stimoli visivi che potremmo immaginare esposti all’interno del grande pesce che ha inghiottito, per farli
ritrovare, Pinocchio e Geppetto. Saremo noi, invece, a trovarci e confrontarci perché ancora una volta scopriamo
quanto il rapporto fra letteratura e fotografia possa essere fruttuoso e ricco di sorprese. Ed è allora, quando la lettura
del testo fatta da adulti ha consentito di scoprirne le sue sorprendenti potenzialità, che possiamo immaginarci quanto
quella di Pinocchio non sia una sola storia già scritta ma un modello di riferimento affidata a chiunque voglia scrivere
o riscrivere il suo Pinocchio.
Roberto Mutti
Inaugurazione: 24 maggio 2012 h. 18:00
Fabbrica del Vapore – Sala “La Cattedrale”
via Procaccini 4, Milano
Orari: Lunedì – Venerdì: 14:30 – 19:30
Sabato – Domenica: 10:30 – 19:30