Gasconade
Milano
piazzale Lavater, 2
WEB
Andrea Romano
dal 26/10/2011 al 25/11/2011
gio-sab 11-19

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Gasconade



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Andrea Romano



 
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26/10/2011

Andrea Romano

Gasconade, Milano

Il nuovo spazio no-profit dedicato ai giovani artisti nati negli anni '80, presenta la prima mostra personale dell'artista milanese 'Claque & Shill': una serie di cinque disegni a matita incorniciati in marmo. I disegni sono repliche di ritratti fotografici di Kenny, una tigre bianca nata da un incesto programmato in un allevamento a Bentonville nel 1999 e deceduta nel 2008 in seguito a complicazioni del suo precario stato di salute. Il titolo della mostra coincide con quello della serie e rimanda al carattere ambiguo e inattendibile della rappresentazione di un fenomeno.


comunicato stampa

Gossip, cinismo e opportunismo – questo tiene in piedi le nostre mostre. Facebook, Elementi per una teoria della Jeune-Fille, iCal. Osserviamoci: siamo a malapena dei mezzi Shakespeare e dei quarti di Chopin, direbbe Witold Gombrowicz. “Eterni aspiranti, eterni incapaci, eterni insufficienti; servi, imitatori, ammiratori e adoratori dell’Arte che, infatti, [ci] lascia in anticamera”. Eppure scioriniamo teorie, artico- liamo visioni, sguazziamo in un certo “gusto”. Siamo presi bene, sempre e sempre per la prima volta. Chi è il capo-claque questa sera? Clap clap clap. Bla bla bla.

Gasconade è lieta di ospitare “Claque & Shill”, la prima mostra personale dell’artista Andrea Romano (1984, Milano). Romano presenta una serie di cinque disegni a matita incorniciati in marmo. Le opere sono da intendersi come oggetti nei quali convivono un disegno e una scultura.
I disegni sono repliche di ritratti fotografici di Kenny, una tigre bianca nata da un incesto programmato in un allevamento a Bentonville (Arkan- sas) nel 1999 e deceduta nel 2008 in seguito a complicazioni del suo pre- cario stato di salute: Kenny era mentalmente ritardata e afflitta da signi- ficative malformazioni fisiche. Le opere mettono in dialogo una riflessione sulla vulnerabilità del medium utilizzato, il disegno – al quale la cornice in marmo offre sia un supporto concreto sia la promessa di un maggiore pre- stigio – con una riflessione sulla vulnerabilità del soggetto, Kenny – esito negativo di un esperimento volto a riprodurre la bellezza presente in natu- ra, e tuttavia ugualmente in grado di suscitare attrazione nello spettatore. Il titolo della mostra coincide con quello della serie e rimanda al ca- rattere ambiguo e inattendibile della rappresentazione di un fenomeno. La claque è un gruppo di individui ingaggiati per manifestare consenso o dissenso, e quindi suscitare nel resto del pubblico l’apprezzamento o meno di uno spettacolo; lo shill è un individuo che dietro remunerazione si finge consumatore soddisfatto di un determinato prodotto o servizio per invogliare altri individui all’acquisto. La claque e lo shill sono figure che si infiltrano in un gruppo per orientarne il gusto e quindi manipolarne la ricezione di un fenomeno.
Le opere presentate in mostra costituiscono la prima formalizzazione di una serie on-going, nella quale la simbiosi tra disegno e scultura è intesa a ostacolare la definizione fenomenologica dell’opera, relegandola delibera- tamente alla sfera dell’ambiguità. Il soggetto dei cinque disegni presentati è quindi un’iperbole: Kenny è l’emblema di un’aspettativa tradita, l’esempla- re difettoso – e ciononostante unico proprio in virtù dei suoi difetti – creato mirando alla replica di un esemplare ideale. In natura solo una tigre su 10.000 nasce albina; la Royal White Tiger, il sogno di tutti gli allevatori, caratterizzata da pelliccia bianca, occhi blu e naso rosa, è infatti una specie che non compare nelle classificazioni scientifiche ma è ottenuta artificial- mente sin dal XIX secolo. La destinazione degli esemplari di Royal White Tiger nati senza malformazioni è l’industria dell’intrattenimento.
Così nascono i simboli, e così nascono gli eroi. Attaccare significa predisporsi a violare ma anche a essere violati. In questa dinamica noi non siamo altro che mar- tiri. Subiamo il fascino di un’immagine, la rubiamo e l’archiviamo nella più remota cartella del nostro computer. Passiamo mesi ad accarezzarla e a riprodurla minuta- mente, adulando il Bello, il Buono, il Vero, perché si manifestino a noi e ai nostri simili. È tardi quando comprendiamo che l’immagine rappresenta un animale de- forme, che la sua dentatura è irregolare e gli impedisce di chiudere correttamente le fauci, che il suo setto nasale è schiacciato: è già scattata l’empatia. La nostra presta- zione, il nostro virtuosismo, la nostra nobiltà di intenti sono andati a farsi benedire in un gesto carico di patetico sentimentalismo. Siamo anaffettivi, ma conserviamo pur sempre una briciola di romanticismo. A poco servirà incastonare l’immagine nel marmo e chiamarla “scultura”; la stessa pietra al fine di accoglierla sarà scavata fino a compromettere la propria robustezza. Chi sosterrà chi? La nostra vulnerabilità – di artisti, di spettatori, di uomini – è la sola certezza che possiamo offrirvi. Vorremmo poter declamare: Guardateci mentre diventiamo leggenda! Guarda- teci calzare le nostre Nike Air, ballare la nostra musica hardcore, utilizzare i nostri attrezzi Technogym! Eppure non siamo che gli ultimi dei Landseer, ritrattisti di ani- mali asserviti al denaro. Edwin Henry era tra i protegé della Regina Vittoria, noto per la sua capacità di conferire agli animali che dipingeva le inclinazioni caratteriali dei loro padroni; afflitto da repentini esaurimenti nervosi, scivolò lentamente nella follia. Anche Landseer ritrasse una tigre bianca, intravista tra i corridoi di un’Espo- sizione Universale. Come lui, noi pure siamo attratti dalle cose-che-sono-come- non-sono, dall’artificio, dagli obblighi dello stile. Chiamateci pure camp; concorde- remo nell’affermare che del resto è una tale fatica essere “naturali”... Noi piuttosto stiamo al mondo come in posa; e perseguiamo quelle tecniche come il ritratto che producono un doppio della realtà, pane per i denti dell’iconologia e della seduzione, del teatro e dell’arte. Non conosciamo il moralismo dell’aristocrazia, e ancora meno le strategie dei doppiogiochisti. Vestiamo un ruolo per sport.
Di fronte al Cimitero di Greco, a Milano, c’è un marmista; alla richiesta di lavo- rare per noi, ha replicato: “Eh no... I morti...” Che mai si dica che noi operiamo una idealizzazione estrema della realtà per proteggerci dai suoi aspetti più dolorosi! Abbiamo ricevuto una lettera; è difficile dire se il mittente è uno shill o un capo- claque. Il testo, una manciata di righe, si conclude affermando che non siamo chi diciamo di essere. Quando calerà la luna giocheremo tutti in cerchio al gioco dei lupi; chi sarà il veggente? Chi la prostituta? Chi il primo a morire? Per ora, l’unico sollievo che ci rimane è ricevere l’ennesima pacca sulla spalla.
;-)

Inaugurazione: giovedi 27 Ottobre ore 18.30

gasconade
P.le Lavater, 2 - Milan
Dal giovedì al Sabato dalle ore 11 alle 19

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Beatrice Marchi
dal 15/1/2014 al 14/2/2014

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