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I volti dell'altro
dal 20/11/2009 al 2/12/2009

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20/11/2009

I volti dell'altro

Spazio Papel Milano, Milano

In mostra i disegni di Sergio Toppi, Paolo Dalponte, Giovanni Robustelli sul tema del volto e delle fattezze fisionomiche che rendono ciascun individuo unico e irripetibile. A cura di Eduardo Simone.


comunicato stampa

a cura di Eduardo Simone

Dare 'volto' alle idee, Gianni Brunoro

Della parola 'volto', conosciamo tutti il significato in senso stretto. Sta a indicare quelle fattezze fisionomiche che rendono ciascuno di noi un Uomo unico e irripetibile rispetto agli altri (e non a caso, per gli animali non si parla di 'volto' ma di muso). Tant’è vero che quando due persone si assomigliano a punto tale da essere confondibili l’una con l’altra, questo fatto genera confusioni, a volte perfino drammatiche.

Questo, per dire quanto sia importante il concetto del 'volto'. Anzi, così importante che la sua entità concettuale si è dilatata a una serie di traslati e metafore capaci di confermarne la raffinatezza espressiva.
Per cui si parla ad esempio del 'volto della verità', si afferma che 'il regime ha mostrato il suo volto', si allude al 'volto nascosto di una filosofia', si immaginano 'i volti del futuro', si mugugna sul 'volto della classe dirigente' o 'della burocrazia'. E sul piano materiale, ci si affida spesso all’'identikit di un volto'.
Metafore perfino abusate, tanta e tale è la forza evocativa di questo concetto. È dunque evidente quanta e quale sia l’importanza del volto in quanto rappresentazione mentale, e quanto ne sia significativa l’immagine grafica. Ma anche l’immagine simbolica che, attraverso la sua raffigurazione, si può ottenere.
Stante questo groviglio di premesse, chiedere a un illustratore di interpretare il volto umano, e ancora più in dettaglio i volti dell’ altro, significa offrirgli una specie di 'libertà incondizionata' espressiva, perché l’artista ha mille sentieri idonei a soddisfare una richiesta del genere, specie se gli si dà la libertà di lasciarsi andare al proprio estro artistico e alla propria sensibilità personale.

Scegliendo tre illustratori di tre diverse generazioni, si può in qualche modo percepire, sia pure in maniera impalpabile, certe loro differenti sintonie col mondo, in quanto ciascuno di essi – a giudicare dai lavori dei tre artisti qui di seguito citati – sembra aver sentito il volto come una chiave di accesso a stanze segrete, come un sentiero di ingresso a mondi alieni, ma anche una via interpretativa a concetti, a idee, a princìpi.

Sergio Toppi [1932] è uno dei più notevoli illustratori italiani e già l’ingente corpus della sua produzione fumettistica, sempre di alto livello, offre una galleria sterminata di volti. In questa sua focalizzazione specifica sul tema del volto, egli mantiene una perfetta coerenza con le proprie storie, nelle quali convergono sempre mito, favola, fantasy, letteratura. E qui la sua scelta ha prodotto immagini che, com’è consueto in lui, ci riportano in luoghi e tempi remoti. Sicché egli esemplifica un po’ sé stesso, proponendo volti di diverse culture, dai tratti somatici riconoscibili eppure reinventati in modo tale che essi assumono una connotazione mitica,una proiezione verso atmosfere fantastiche al di là del tempo. Dando così un’impressione di déjà vu a volti che in realtà non si sono mai incontrati.

Paolo Dalponte [1958] ha una concezione evidentemente allegorica del ritratto. I suoi volti hanno connotati inconfondibili su due piani, quello tecnico e quello concettuale. Tecnicamente, colpisce la netta preferenza dell’artista per il bianco/nero, quasi a sottolineare che il colore potrebbe essere un elemento distraente, capace di depistare l’attenzione, mentre ciò che conta è la forma. Che è appunto l’altro suo elemento caratterizzante. I suoi volti, non a caso in prevalenza femminili e di profilo, sono quasi degli identikit. Ma non tanto di una fisionomia, quanto piuttosto di un simbolo: raffigurazioni dai connotati surreali, che alludono a un’astrazione caratteriale e che richiedono allo spettatore un proprio sforzo interpretativo personale. Di inquietudini, di tristezze, di pensieri.

Giovanni Robustelli [1980] ha un approccio ancora diverso, in quanto la sua sembra essere una netta ”attrazione fatale” verso i personaggi della fantasia, del mito, della fiaba, del racconto popolare. Ma prima ancora è il caso di notare che in questi lavori egli è lontano da quanto ci ha abituato recentemente, specie con Alice in Wonderland e con Pinocchio… odor di legno: nei quali egli evidenzia un approccio senz’altro classico al tratteggio in bianco/nero a tutto tondo, rielaborato però in modo da farlo assaporare come eternamente moderno, provocatoriamente attuale nella riproposta di una colta rivisitazione della metodica tradizionale. Ebbene, qui egli lascia invece esplodere strepitosi effetti cromatici che giocano sul contrasto fra la rigorosa riproduzione fisionomica di un volto con lo sfondo, animato invece dall’allegoria, che riporta simboli relativi all’ambiente favolistico o narrativo cui quel volto appartiene.

Intercorrono 26 anni fra il primo e il secondo di questi artisti e altri 22 fra il secondo e il terzo. Tre generazioni, dunque, che esemplificano in maniera sintomatica aspetti diversi del loro interesse verso il mondo e modi diversi di vederlo. Forse una metafora, attraverso l’arte, di quello che è oggi il rapporto delle diverse generazioni con gli aspetti della vita.

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