Attraversare le contingenze allargando le prospettive

23/07/2009
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Sboccia il Lu.C.C.A.


Un museo che nasce nel cinquecentesco Palazzo Boccella dove ad ogni mostra cambierà la regia olfattiva, il menù della caffetteria, il colore della facciata e la regia musicale. Un "living museum" che comincia in maggio con una mostra intorno agli anni '50 in Italia "alla rinascita dopo il crollo economico causato dalla seconda grande guerra" e prosegue questa estate con la video arte internazionale in collaborazione con il Festival Suoni & Visioni.
In questa intervista il direttore, Maurizio Vanni, racconta con passione dell'idea progettuale che ha portato alla creazione del nuovo Lu.C.C.A. Lucca Center of Contemporary Art e delle caratteristiche salienti con cui intende diversificarsi dagli altri musei. Tutto "nasce per volontà, o per lucida follia, del presidente Angelo Parpinelli"...


Su UnDo.Net la rubrica Making Culture, a cura di Tafter, indaga il valore economico degli eventi culturali insieme alle loro implicazioni sociali



Lucca Center of Contemporary Art ha sede all'interno del cinquecentesco Palazzo Boccella







Lu.C.C.A - Lucca Center of Contemporary Art. Reception.







L'ingresso della sala ludica, Laboratorio didattico







Laboratorio didattico







Sala espositiva







Una delle otto sale espositive







Sala espositiva







Wassily Kandinsky, Le milieu sombre (Centro scuro), 1943. Tecnica mista su cartone, cm 42X58. Courtesy Tornabuoni Arte, Firenze







Sonia Delaunay, Chocolat, 1914. Pastelli su carta, cm 26x20. Collezione privata, Courtesy Galleria Blu, Milano







Carla Accardi, Integrazione, 1958. Caseina su carta su tavola, cm 63X69,5. Courtesy Tornabuoni Arte, Firenze







Giacomo Balla, Compenetrazione iridescente n. 3, 1912. Olio su carta applicata su tela cm 66,9x47,7. Courtesy Ing. Dino Tabacchi, Padova







Le colonne istoriate del palazzo realizzate agli inizi del 1600 dal Ghirlanda







Veduta del bookshop







La caffetteria del museo





Intervista a Maurizio Vanni, direttore del Lu.C.C.A. - Lucca Center of Contemporary Art

di Vittoria Azzarita

Inaugurato il 9 maggio 2009 con l’apertura della mostra “Un mondo visivo nuovo. Origine, Balla, Kandinsky e le astrazioni degli anni ’50”, il Lucca Center of Contemporary Art (Lu.C.C.A.) è il nuovo spazio espositivo dedicato all’arte contemporanea della città di Lucca. Come nasce un progetto come il Lu.C.C.A. e quali sono stati i principali attori che hanno contribuito alla sua creazione?

Il Lu.C.C.A. nasce per volontà, o per lucida follia - come ama definirla lui -, del presidente Angelo Parpinelli, il quale nascondeva o coltivava dentro di sé un sogno meraviglioso: creare, prima o poi, un punto di riferimento per l’arte e la cultura contemporanee nella città di Lucca. Nasce, quindi, dalla volontà di un singolo, di un appassionato, di una persona che aveva avuto esperienze internazionali, e che forse all’inizio non si rendeva neanche conto dello sforzo necessario per mettere in piedi un museo, ma che in fondo sognava un luogo di aggregazione culturale per la sua città. E questo suo desiderio si è, ad un certo punto, incontrato con il sottoscritto.
Io nel frattempo avevo fatto il curatore, lo storico dell’arte, il museologo a livello internazionale, acquisendo un’esperienza di format museologici leggermente differenti da quelli tipici italiani. Provenivo da una serie di esperienze che mi avevano portato a lavorare tre anni a Mosca, molti mesi in Cina, nei Paesi Baltici, in Turchia, in Francia, in Germania, in Argentina, lavorando con realtà museali sulla carta più piccole rispetto a quelle italiane, ma a livello museologico più evolute, più avanzate, proprio perché propongono un concetto di museo diverso dal nostro: un museo come un reale luogo di aggregazione e non solo come un contenitore di cultura.
E così dopo molti mesi di incontri, di discussioni, di approfondimenti, di confronti, ho accettato - come direttore - di proporre un progetto museologico particolare, sicuramente anticonvenzionale, ed il presidente – che rimane comunque l’attore principale di questo lucido sogno – è stato felice di avventurarsi insieme a me, e ad un team di specialisti, in questa avventura.

Il museo possiede una collezione permanente, oppure è stato pensato come uno spazio destinato ad accogliere esclusivamente mostre temporanee?

Il museo è stato creato in un palazzo di cinque piani, nel centro di Lucca, in una struttura cinquecentesca, che ha uno sviluppo planimetrico di circa 1.200 metri. Inizialmente questo ha creato molte problematiche legate alla distribuzione degli spazi.
In ogni caso, per restare coerenti con i principi iniziali, abbiamo deciso di dedicare almeno un terzo dello spazio ai servizi, realizzando un bookshop, una caffetteria e molte zone lounge. Questo ci ha permesso di offrire delle proposte particolari in più, ma di avere un po’ di spazio espositivo in meno. Allora l’idea è stata questa: puntare, nei primi anni, su un turnover di mostre temporanee importanti e nel frattempo iniziare a musealizzare, ovvero a creare una collezione acquisendo, di volta in volta, dei pezzi particolari.
Dopo il primo triennio il museo deciderà se percorrere la strada di esporre la propria collezione nei propri spazi, oppure se iniziare a proporla ad altre strutture analoghe a livello internazionale, magari utilizzandola come mezzo di promozione e di comunicazione delle proprie attività, o magari entrambe le cose.

Quali altri attività si svolgono all’interno del Lu.C.C.A oltre a quella espositiva?

All’interno della struttura, oltre al piano terra e agli spazi dedicati ai servizi, al secondo piano abbiamo creato una sala ludico-didattica permanente, un luogo dove, in modo particolare i bambini delle scuole dell’infanzia, possono trovare un ambiente appositamente pensato per stimolare e dare forma alla fantasia. Un posto che può essere considerato una nursery, ma che all’occorrenza può trasformarsi in uno spazio baby-sitting creativo, in un luogo in cui realizzare dei veri e propri laboratori ludico-didattici.
Abbiamo già avviato un dialogo con il Centro Culturale Agorà per creare dei progetti all’interno della struttura museale pertinenti alle mostre che via via presenteremo, e per dar vita anche ad una collaborazione esterna, presso i loro spazi, dove alcuni nostri esperti potranno raccontare le nostre mostre, oppure pensare dei workshop insieme agli artisti, che avranno la possibilità di confrontarsi con un pubblico più giovane.
Anche in questo caso abbiamo voluto creare uno spazio che fosse dedicato in modo permanente alla didattica - per noi altro elemento fondamentale per la vita di un museo -, ma che al tempo stesso rappresentasse un’altra occasione per colloquiare, in modo costante e biunivoco, con il territorio.

Come lei prima ricordava, il Lucca Center of Contemporary Art sorge nel centro storico di Lucca, all’interno del cinquecentesco Palazzo Boccella, occupando tutti e cinque i piani che compongono la struttura.
Quali aspetti sono stati privilegiati durante gli interventi di restauro dell’edificio, e in che modo l’impianto architettonico del museo rispecchia l’identità e i valori che ne sono alla base?


All’inizio il primo ostacolo era rappresentato dal fatto che provenivo da due esperienze opposte, una a Mosca ed una a Shanghai, che mi aveva visto lavorare in open space dalle metrature generose. Per cui pensare ad un progetto museologico che si doveva sviluppare in una struttura di cinque piani con tanti piccoli spazi, mi preoccupava.
Inizialmente sembrava che molti di questi piccoli spazi potessero addirittura risultare inutilizzabili, e la sfida è nata proprio da lì. Insieme all’architetto-museografo Giuseppe Cipolla che si è occupato del restauro del palazzo e del progetto, abbiamo deciso di partire proprio da questi piccoli spazi, ovvero prima ancora di pensare agli spazi espositivi, abbiamo pensato alle sale dedicate ai servizi, al ristoro, al relax.
E gli spazi angusti, piccoli, quelli che davvero in apparenza sembravano inutili per farci qualsiasi cosa, sono diventati alla fine dei bagni speciali, dei servizi che, grazie all’intervento di otto artisti, si sono trasformati in “Bi-sogni d’artista”. Così l’imponente intervento di restauro che ha ripristinato il palazzo, la sua maestosità, e la sua grandiosità passata, ci ha permesso di capire quali erano i punti forti e i punti deboli di questa struttura architettonica, trasformando i punti fragili in valori aggiunti, in caratteristiche uniche e distintive.
Ad esempio nel sottosuolo sono ancora visibili le colonne istoriate del palazzo realizzate agli inizi del 1600 dal Ghirlanda: abbiamo pensato di utilizzare la stanza attigua a queste colonne per esporre opere di video arte. In definitiva abbiamo sfruttato la storia passata per confronti continui con il contemporaneo, dimostrando - se ce ne fosse ancora bisogno -, come il passato e il presente possono colloquiare, senza necessariamente scontrarsi.

Il Lu.C.C.A. è stato definito “the living museum”. In che senso è un museo vivo? In cosa si differenzia rispetto agli altri musei di arte contemporanea presenti in Italia?

Spero senza presunzione di poter dire che il format che caratterizza il Lu.C.C.A. è veramente nuovo, almeno per quanto riguarda l’Italia. “The living museum”, ovvero il museo che vive e il museo da vivere. Uno spazio in cui lo spettatore supera il ruolo di fruitore e diventa protagonista fin dal momento in cui varca la soglia d’ingresso.
Il Lu.C.C.A. presta una grandissima attenzione ai servizi con un bookshop concentrato su cataloghi d’arte e su un merchandaising personalizzato, alla ristorazione e alla caffetteria, con tanti spazi e con tante possibilità di fermarsi e di fare innumerevoli cose. E queste innumerevoli cose sono legate ai concetti di interdisciplinarietà e poli-sensorialità, in quanto abbiamo creato degli spazi dedicati a tutte le principali espressioni artistiche, non solo pittura e scultura, ma anche design, fotografia, video arte, dando la possibilità ad ogni persona di trovare la propria dimensione, l’oggetto artistico che più la colpisce e la affascina.
Al tempo stesso abbiamo cercato di riproporre questo approccio poli-sensoriale per ogni singola mostra, per cui al cambio di ogni allestimento espositivo cambia la regia olfattiva, attraverso l’utilizzo di fragranze particolari, cambia il menù della caffetteria, cambia il colore della facciata, cambia la regia musicale. Ogni volta che le persone vengono introdotte ad una mostra, si ritrovano – grazie a questo approccio poli-sensoriale - in una situazione particolare, quasi magica, che le porta a fermarsi più a lungo all’interno del museo.
In sostanza, le persone vengono per vedere una mostra - che può essere tranquillamente vista, studiata, indagata mettiamo in due ore -, e scoprono il piacere di leggere una rivista in lingua, di ascoltare la musica, di prendere un tè o una tisana particolare, di degustare il cocktail Lu.C.C.A., di stare comunque più tempo a vivere il museo.
Il concetto è molto semplice: una struttura museale che ammicca forte a tutti i target di riferimento, che propone una apertura serale ogni quindici giorni con dj set e varie performance per un pubblico giovane che va dai 22 ai 35 anni, che presenta libri, che propone mostre esterne, che crea delle situazioni dove ogni persona, non necessariamente specialista, può trovare un rapporto con la struttura ed in fondo anche con se stessa.
Quindi “the living museum” è un museo in movimento, dinamico, che si basa sulla dinamicità e sulla diversità di chi entra e di chi ha voglia di viverlo.

Passando a considerare alcuni aspetti economico-gestionali, il Lu.C.C.A. si presenta come un museo privato con un proprio consiglio d’amministrazione ed un proprio comitato scientifico. Come sono finanziate le attività del museo? I servizi aggiuntivi sono gestiti internamente, oppure sono affidati a società terze?

Inizialmente le attività del museo sono partite grazie ai contributi importanti del presidente e grazie agli aiuti delle persone che sono intervenute nel CdA e hanno portato, attraverso contatti e conoscenze, delle partnership e delle sponsorizzazioni.
Nella fase successiva abbiamo iniziato a prendere in seria considerazione l’ipotesi di una partecipazione pubblica, instaurando un contatto importante con il Comune e la Provincia, per cui non escludo che in corso d’opera si possa veramente creare un legame permanente e una possibilità di interazione concreta con le pubbliche amministrazioni. Nel frattempo c’è una forte collaborazione con tali istituzioni.
Per quanto riguarda i servizi, questi sono messi in condizione di essere reali propulsori economici, ovvero l’intento è proprio quello di pagare molti stipendi semplicemente con i servizi. I servizi, infatti, sono stati creati non solo per il benessere dell’utente, ma anche per incrementare e contribuire alle risorse finanziarie di un museo, che di certo non può contare solo sugli incassi provenienti dalla biglietteria. Siamo molto contenti dei risultati economici sia della caffetteria che del bookshop.
Al momento la nostra idea è quella di non avere legami forti con sponsor, che magari possono condizionare le nostre scelte. Tra gli obiettivi principali c’è quello di legarsi maggiormente al territorio, e stiamo valutando come perfezionare questo tipo di rapporto. Alcuni dei ragazzi che lavorano con noi sono di Lucca e questo ha facilitato il nostro inserimento nella città: adesso speriamo di riuscire a perfezionare il tutto con i risultati che si manifesteranno in questa e nella prossima mostra.

Quali rapporti intrattiene il museo con le industrie del territorio? Vengono svolte attività di fundraising, e se sì, esiste una figura esclusivamente dedicata a questo compito?

Da questo punto di vista come team siamo molto legati al binomio impresa e cultura, avendo lavorato in passato con e per aziende. Abbiamo iniziato ad educare gli imprenditori, parlando e confrontandoci con loro, cercando di far capire loro la differenza tra sponsorship e partnership. Infatti il modo di fare fundraising nel contemporaneo è cambiato, in quanto adesso un’azienda non si accontenta più di delegare una somma di denaro per un progetto artistico e vedere il suo marchio nei prodotti di comunicazione.
Adesso un’azienda vuole di più, vuole interagire, vuole progetti pertinenti al proprio prodotto. Quindi abbiamo iniziato a fare delle serate, degli incontri con gli imprenditori più ambiziosi e più curiosi, parlando di cosa vuol dire interazione tra museo, o progetto culturale, e imprenditore e azienda.
In questo modo stiamo creando quanto meno un gruppo di amici del museo, che speriamo si possa presto trasformare in vere e proprie partnership. In realtà, alcune sono già state attivate. Il sogno è quello di diventare, in quanto struttura con ambizioni internazionali, portavoce di un gruppo di brand importanti che in qualche modo affidano il proprio messaggio ad un progetto culturale di matrice museale.

Il Teatro del Giglio, l’area dell’ex Manifattura Tabacchi con il Museo del Fumetto, il centro Agorà, Porta SS. Gervasio e Portasio, l’Opera delle Mura, il Teatro di San Girolamo, sono alcuni dei più importanti recuperi di cui il Comune di Lucca si è fatto promotore dal 2000 ad oggi.
Che ruolo ha giocato l’istituzione comunale nel processo che ha portato alla nascita del museo, e quanto ha inciso l’essere parte di un territorio culturalmente vivo per lo sviluppo delle attività del museo?


Direi fondamentale. Anche perché noi siamo un team legato a dei processi socio-economici, e non solo culturali. Quindi quando ci si assume la responsabilità della realizzazione di un progetto museologico, molto spesso ci sono anche delle responsabilità manageriali da rispettare.
Quando si è presentata l’occasione di accettare o meno questo incarico, abbiamo fatto dei focus group particolari, abbiamo testato il territorio, lo abbiamo indagato per capire quali erano le iniziative culturali di una certa porzione di regione o di provincia, e capire ovviamente cosa stava succedendo intorno a noi. È chiaro che, una volta analizzata la città di Lucca e la provincia, ci siamo resi conto di quanto fosse stato interessante l’intervento delle pubbliche amministrazioni per permettere ad edifici non più utilizzati di rinascere, anche attraverso progetti culturali. E ci è sembrato incredibile che una piccola città come Lucca sia non solo portatrice sana dell’arte del fumetto - per cui la realizzazione del Museo del Fumetto è stata un’ovvia conseguenza -, ma anche ricca di iniziative.
Qui c’è un interessantissimo “LuccaDigitalPhotoFest”, il Lucca Film Festival, l’Agorà che è una struttura molto interessante legata alla didattica e agli studi propedeutici per l’arte e la letteratura, molto attenta alle scuole dei piccoli e all’insegnamento, un Summer Festival che compie quest’anno dieci anni e porta durante l’estate i concerti di alcuni tra i più grandi artisti del mondo.
L’ex Manifattura Tabacchi è una delle strutture che funziona meglio, anche come sede espositiva, per mostre temporanee, ma non dimentichiamoci che a Lucca c’è anche Palazzo Ducale, con altre grandi iniziative, il Real Collegio che mi sembra sia un’altra struttura che funziona molto bene per mostre temporanee. Insomma, una città ricchissima di stimoli culturali. Quindi questo ci ha fatto capire che potevamo investire ancor di più sul nostro progetto perché il territorio era pronto, e naturalmente nei due anni e mezzo di restauro e messa in opera del nostro progetto, abbiamo approfittato per creare delle relazioni con le realtà culturali presenti sul territorio. Da ultimi arrivati ci siamo messi a disposizione per collaborare e interfacciarci con loro, e fin da subito, siamo stati adottati dalla città. Credo che, già da quest’anno, si potrà creare una sorta di “cluster” culturale, un piccolo sistema legato alle varie iniziative cittadine, che ci vede attori attivi, e di questo siamo molto felici.

Il Lu.C.C.A. sorge in una regione, la Toscana, in cui sono presenti altre importanti istituzioni dedicate alla promozione dell’arte contemporanea, come il Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci. Prevedete dei rapporti di collaborazione con queste strutture? E se sì, secondo quali modalità?

In questo caso le cose si fanno un poco più complicate. Mentre sarà naturale la collaborazione con le strutture comunali e probabilmente anche provinciali, le strutture regionali hanno già un loro modo di lavorare. Non so quanto lei conosca la Toscana, ma sicuramente saprà che tra città e città c’è un fortissimo campanilismo e una storica rivalità. E questa rivalità si è in qualche modo proiettata anche negli aspetti culturali, anche se può sembrare paradossale.
La Regione Toscana ha creato un tavolo della cultura, quindi probabilmente è in atto un tentativo di creare un sistema museale regionale, ma non sarà semplicissimo colloquiare con tutti, anche perché i singoli progetti artistici sono comunque differenti gli uni dagli altri. Io mi auguro, visto che come Lu.C.C.A. siamo neonati, di poter presenziare a questo tavolo e poter unire competenze e creare eventi magari in date complementari.
Avviare una vera e propria collaborazione, artistica e progettuale, non so quanto sia possibile, ma mi auguro che si possano almeno sfruttare i rispettivi progetti artistici per creare una comunicazione plurale, di gruppo, soprattutto a livello internazionale. A quel punto la Regione Toscana, per arricchire la propria offerta, potrebbe “vendere” insieme ai tanti prodotti enogastronomici anche un grande sistema museale. Ecco, fin lì credo che ci si possa anche arrivare.
Per quanto riguarda il Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, a parte le recentissime vicende di affaticamento economico, credo sia la struttura italiana, insieme al Mart, più conosciuta al mondo anche grazie alla lungimiranza di alcuni direttori, che hanno saputo creare progetti interessanti e avvincenti e che, in neanche tanti anni, hanno permesso al Pecci di essere considerato uno dei musei più importanti a livello mondiale. C’è in effetti un progetto regionale che vede il Pecci come capofila e come responsabile per il contemporaneo in Toscana: tra l’altro il Centro Pecci è anche sede di incontri a carattere istituzionale-culturale.
È  una struttura, quindi, che non rappresenta solo la Toscana, ma tutta l’Italia, che adesso sta ripartendo e lo sta facendo in modo importante: entro breve verrà ampliato e sicuramente tornerà ancora più forte di prima, ancora più importante rispetto ai suoi anni d’oro. Noi non possiamo neanche pensare di competere con loro, e soprattutto non vogliamo competere con una struttura come il Pecci, o come le Papesse di Siena o come Palazzo Fabroni a Pistoia. Abbiamo creato un progetto museale che è assolutamente complementare al loro, abbiamo uno spazio molto più piccolo, abbiamo aspirazioni differenti.
Noi vorremmo semplicemente avere una grande attenzione all’arte moderna e contemporanea, preparare dei progetti di alto livello, cercare di colloquiare con tanti musei internazionali, creare delle partnership – adesso le stiamo facendo ad esempio con i musei argentini e brasiliani – e magari poterci permettere di sedere a quel tavolo e di capire se c’è la possibilità di essere complementari agli altri e di poter collaborare con loro a livello di comunicazione. Per noi strutture come il Pecci sono stimoli importanti, sono musei talmente affermati che possono essere solo utilizzati come stimolo per fare sempre meglio.

In Italia è presente AMACI, che come sappiamo è l’associazione che riunisce 24 tra le realtà più importanti per la promozione dell’arte contemporanea nel nostro Paese. Pensate che nel prossimo futuro possano esistere le condizioni per avviare una collaborazione con loro, oppure no?

Credo che ci sia tempo per colloquiare con strutture che hanno già raggiunto una loro maturità. Le 24 strutture legate ad AMACI sono strutture che hanno già una loro storia, noi la stiamo costruendo. Sono convintissimo che potremo avvicinarci anche a questo tipo di sistema magari con qualche anno di vita in più. Dobbiamo anche noi dimostrare di avere credibilità, lavorare bene, dare contenuti ai nostri progetti e mettere in pratica regolarmente quello che abbiamo dichiarato.
Quindi sono convinto che con il tempo, una volta che il museo avrà trovato la propria collocazione nel territorio e nell’immaginario delle persone, sarà molto più facile colloquiare anche con i musei che ormai hanno un’ossatura veramente forte, e che hanno saputo trovare la loro dimensione grazie ai risultati positivi che nel tempo hanno conseguito.

In che modo la mostra “Un mondo visivo nuovo. Origine, Balla, Kandinsky e le astrazioni degli anni ’50” - che mette in scena, fino al 23 agosto, cinquanta opere fra dipinti e sculture del Gruppo Origine, con incursioni verso Balla, Kandinsky e l’arte astratta -, è rappresentativa dello spirito del museo?
Perché si è scelto di inaugurare questo nuovo spazio espositivo con un percorso artistico di questo tipo e non, ad esempio, con un’esposizione dedicata ai giovani artisti contemporanei?


Prima dell’apertura abbiamo avuto il tempo di studiare il territorio, di capire più o meno il livello culturale della provincia di Lucca, e nonostante alcune predisposizioni e aperture mentali abbiamo visto che, a parte l’isola Pietrasanta, un territorio fortunato per le tantissime gallerie presenti, non c’era una grandissima predisposizione per il contemporaneo. Allora abbiamo deciso, visto che uno dei nostri obiettivi fondamentali è quello di fidelizzare il territorio e di aprirci ai tanti target presenti, che la mostra legata al Gruppo Origine fosse veramente rappresentativa dello spirito del museo.
Da una parte il periodo storico, gli anni ’50, il periodo della rinascenza dell’arte contemporanea italiana, per cui l’origine di “Origine” coincide con l’origine della ripartenza degli artisti italiani, della rinascita dopo il crollo economico causato dalla seconda grande guerra.
Dall’altra, dovevamo partire da un progetto che fosse propedeutico alla comprensione dell’arte contemporanea, e così perché non partire proprio da quegli artisti liberi, forti, anticonvenzionali, anche aggressivi e trasgressivi, che hanno dimostrato in tempi non sospetti quanto la creatività italiana fosse importante anche in momenti meno facili? Ebbene gli anni ’50 sono diventati quello che noi consideriamo la nostra origine, l’origine dell’arte della nostra contemporaneità, e quindi prima ancora di occuparci di cose più attuali abbiamo ritenuto che potesse essere interessante fare una carrellata sugli artisti del periodo di ri-apertura della libertà espressiva.
Naturalmente non sottovaluteremo le proposte più contemporanee, e il fatto di avere una sala dedicata alla video arte lo dimostra, però ci piace pensare di poter promuovere magari ogni anno un decennio della storia dell’arte diverso per creare un percorso di comprensione verso l’arte contemporanea.
Al tempo stesso ogni anno proporremo, in partnership con altri musei, la giovane arte contemporanea italiana e non. Ad esempio arriveremo alla fine di quest’anno con un progetto legato ad un giovane artista italiano, realizzato in collaborazione con tre musei argentini. In linea generale alterneremo la parte più storica, “moderna”, ad avvenimenti più contemporanei, più frizzanti e più performativi. Questo secondo me ci permetterà di creare un percorso meno violento, che potrà portare una persona non abituata alle sollecitazioni del contemporaneo ad entrare nella nostra struttura e pian piano poter arrivare a comprendere anche proposte più ardite, più contemporanee.

Dal 18 luglio al 9 agosto il museo ospiterà la mostra “Point of View. An Anthology of the Moving Image” - costituita da opere video dei principali artisti contemporanei, che vanno dai maestri storici come Douglas Gordon, Joan Jonas, Gary Hill, William Kentridge e Paul McCarthy per arrivare ai celebrati giovani creativi Anri Sala, Isaac Julien, Pipilotti Rist e Francis Alys.
La mostra rientra negli eventi del Festival “Suoni & Visioni”, che la città di Lucca ospita nei mesi estivi di luglio e agosto. Come è nata la collaborazione con gli organizzatori del Festival? Che tipo di ritorno vi aspettate dalla partecipazione a questo tipo di iniziative?


Intanto è d’obbligo per ogni struttura museale prendere sempre in considerazione ogni evento esterno legato al territorio. Noi abbiamo degli spazi che lasceremo inviolati dalle nostre mostre, proprio per metterli a disposizione di situazioni come questa.
Il Festival “Suoni & Visioni” è un progetto internazionale, curioso, da certi punti di vista anche innovativo, che rientra perfettamente nel nostro tipo di programmazione. In questo caso è stato veramente interessante prendere in considerazione gli 11 videoartisti, in parte legati al mondo del cinema, dei corti e dei new media, arte elettronica e virtuale, che si sono cimentati in produzioni accattivanti ed innovative.
Questo ci darà l’opportunità non solo di entrare in un circuito culturale, di far parte di un progetto che occupa una parte dei luoghi della città, ma anche di creare delle lezioni propedeutiche, di partecipare alla costruzione di quell’apertura culturale necessaria per parlare di video arte, per parlare di new media, per parlare di un’espressione contemporanea che ormai fa parte della storia dell’arte di tutto il mondo, ma che in alcune parti d’Europa, Italia inclusa, non è ancora considerata un' “arte maggiore”. Quindi il partecipare e il fare sistema è anche un farci conoscere come parte attiva di un progetto globale, è un modo per raccontare la video arte a persone che magari non sono ancora coinvolte emotivamente.
Durante questo Festival l’organizzazione dell’evento ci ha autorizzato a creare qualche serata di approfondimento, magari invitando qualcuno degli artisti che partecipa a questa iniziativa. Un modo semplice per avvicinare le persone, attraverso modalità più avvincenti e noi speriamo anche più accattivanti.

Durante questi primi mesi di vita qual è stata la risposta dei cittadini nei confronti del Lu.C.C.A.? Si sono mostrati partecipi, curiosi di conoscere questa nuova realtà?

C’è una grande curiosità. E anche un po’ di diffidenza, è chiaro, perché siamo in un territorio abituato a grande cultura, con una rilevante stratificazione storico-artistica. Quindi è normale che questa curiosità abbia attecchito paradossalmente di più nelle nuove generazioni e nelle persone che avevano dimestichezza con il contemporaneo e con l’arte in generale. Stiamo quasi per varcare la soglia del terzo mese di vita, abbiamo strappato oltre ottomila biglietti, però per il momento vincono i non lucchesi, i non italiani.
La percentuale maggiore è legata alle persone che hanno fatto un piccolo viaggio per venire a trovarci, o magari a turisti in visita in città. I lucchesi giovani hanno reagito molto bene, hanno presenziato alle notti bianche, agli eventi collaterali, frequentano il bookshop, la caffetteria. Le persone comuni, il lucchese medio, ci stanno osservando, immagino, e dovranno forse pian piano essere rassicurati per tornare o per iniziare a frequentarci in maniera più assidua. C’è ancora da lavorare sul territorio, ma questo era prevedibile.
Tuttavia è molto interessante la partenza ed anche i numeri registrati nei primi mesi e l’accoglienza della stampa, in quanto abbiamo avuto una interessantissima risposta mediatica. In fondo siamo un museo, ma non sicuramente una struttura nata solo per conservare, raccogliere ed esporre opere d’arte. Questo ci permette di poter offrire dei “cocktail” culturali un po’ più arditi e bizzarri.

Per concludere quale sarà la vostra prossima mostra e quali i progetti per il futuro?


Con la prossima mostra vogliamo far scoprire un’altra espressione artistica alla quale teniamo moltissimo, la fotografia. Abbiamo scelto un artista un po’ particolare per manifestare questa nostra passione: Man Ray.
Faremo scoprire un Man Ray fotografo molto creativo, un Man Ray quasi surrealista, ma molto lucido, quasi tradizionalista rispetto al Man Ray dadaista. Abbiamo scelto 50 scatti realizzati con altrettante tecniche che permetteranno di far capire la grandezza del personaggio e soprattutto la grandezza della sua ricerca e delle sue scoperte tecniche. Un modo per riportare l’attenzione sulla fotografia, ma al tempo stesso per far capire la grandezza di un personaggio che può diventare a sua volta propedeutico per la comprensione di tante altre cose successe dopo. Quindi un altro modo di colloquiare con un altro tipo di persona, ma al tempo stesso un modo per di nuovo incuriosire e avvicinare tanti target di pubblico differente.
La mostra di Man Ray rimarrà da settembre a dicembre e poi prima delle feste natalizie esordiremo con un artista di ultima generazione, un giovane artista italiano, che di rientro dall’Argentina porterà la sua mostra “Luci del Destino” nel nostro museo. L’artista è Christian Balzano.
Sarà una mostra con delle installazioni particolari e in quel momento scopriremo le azioni/reazioni del pubblico lucchese al contemporaneo. Sarà un crescendo di emozioni: la nostra volontà è quella di portare tante persone a vivere il museo, continueremo a fare eventi collaterali, continueremo a suggerire letture alternative, anticonvenzionali, a collaborare con altri musei, avere degli scambi, delle co-produzioni. E poi siamo convinti che in fondo sarà sempre il pubblico a decretare il successo o meno della struttura. Sicuramente un format innovativo può impiegare più tempo ad essere accettato, ma crediamo nell’apertura e nella voglia di cultura delle persone.
La nostra trasgressione è stata, ed è, l’aver portato la cultura importante a diventare appannaggio di ogni persona, naturalmente nel rispetto dello specialista. Il tableau esplicativo che proponiamo è comprensibile a tanti livelli culturali e questo è il nostro vanto. Il vero obiettivo è quello di farci adottare e diventare parte del territorio. Mi auguro che al più presto i lucchesi sentano come proprio il Lu.C.C.A.

Lu.C.C.A. Lucca Center of Contemporary Art
Via della Fratta, 36 55100 Lucca
Tel.O583 571712
Fax 0583 950499
info@luccamuseum.com
www.luccamuseum.com



Su pressRelease maggiori informazioni sulla mostra Un mondo visivo nuovo. Origine, Balla, Kandinsky e le astrazioni degli anni ’50
… e sul Festival Suoni & Visioni


La selezione dei contributi di Making Culture è curata da Tafter, la rivista online che opera nel campo dell'economia della cultura e che si presenta come punto di incontro per la ricerca sul rapporto cultura-impresa, sullo sviluppo locale, sulle possibilità offerte dalle nuove tecnologie in campo culturale, sulle modalità di interazione tra l'arte contemporanea e i suoi fruitori.

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