Attraversare le contingenze allargando le prospettive

17/07/2009
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Stonati e dissonanti: un glossario








Immagini del convegno. Foto di Valentina Maggi





Immagini del convegno. Foto di Valentina Maggi





Immagini del convegno: Marko Stamenkovic, Marco Baravalle, Matteo Lucchetti ed Elvira Vannini. Foto di Paola Di Bello





Andris Brinkmanis, Giacomo Bazzani ed Eva Fabbris. Foto di Paola Di Bello





Irene Grillo, Francesca Boenzi e Stefano Taccone. Foto di Paola Di Bello





GRID (Paolo Caffoni e Jose Roberto Shwafaty) e Pieternel Vermoortel. Foto di Paola Di Bello





Opening Intergration and Conflict, a cura di Giacomo Bazzani, gennaio 2008. Foto di Anna Galetta





Integration and Conflict, mostra sulla Piaggio, Pontedera, settembre 2007. Foto di Anna Galetta





Flavio De Carvalho, New look: moda estiva per il nuovo uomo, 1956. Immagine dal blog di Inti Guerrero





Flavio De Carvalho, Experiencia 3, São Paulo 1956. Immagine dal blog di Inti Guerrero





Manifesto della mostra 'Art Cannot Be Untaught', a cura di Caterina Riva. Aprile-maggio 2008, La Rada, Locarno





Installazione di Luca Frei all'interno della mostra 'Art Cannot Be Untaught'





Serate presso S.a.L.E. Immagine da sale-docks.org





Serate presso S.a.L.E. Immagine da sale-docks.org





Rosaria Iazzetta, Parole dal cemento, A chi ama è consentito ridere. Nell'ambito di Corrispondenze di Frontiera, Scampia 2008





Manifesto di 'URBAN SKIN. Saggio di dermatologia urbana'. Progetto installativo di Ogino Knaus presso S.a.L.E. Immagine da sale-docks.org





A cura di Antonella Miggiano con Matteo Lucchetti ed Elvira Vannini.

Everybody Talks About the Weather. We Don’t
è un convegno che si è svolto gli scorsi 7 e 8 Aprile, all’interno degli spazi del Biennio specialistico in Arti Visive e Studi Curatoriali della Nuova Accademia di Belle Arti di Milano, come spazio di dialogo e riflessione su alcuni luoghi chiave della contraddizione culturale all'interno delle dinamiche postfordiste.
Si sono alternati 21 giovani curatori appartenenti alla scena internazionale. Partendo da un’idea di Marco Scotini – elaborata e sostenuta da Andris Brinkmanis, Matteo Lucchetti ed Elvira Vannini - si è voluto coinvolgere i curatori invitati in un’ampia prospettiva sulla pratica curatoriale, nei suoi rapporti con le istituzioni e con il potere che queste esercitano nella definizione di quella che sta diventando una scienza perfetta della mostra, da impiegare come un sapere già dato.
Sono le concezioni teoriche e le pratiche curatoriali una messa in discussione degli standard culturali, o sono all'opposto una continua riterritorializazione delle istanze di trasformazione, degli spazi di sperimentazione e delle dinamiche aperte di libertà? Come mostrare il disaccordo, il dissenso? Come ri-pensare la cultura attraverso il politico e la politica. Come può una pratica curatoriale e discorsiva produrre nuove forme di soggettività e diventare uno strumento di critica delle istituzioni? Quali sono le nuove forme di produzione della conoscenza nelle pratiche artistiche attuali, le strategie, le prospettive, gli approcci e i paradigmi della curatela emergente?
Stiamo assistendo attualmente a una sorta di ‘schizofrenia’: la cultura oggi non è più uno spazio autonomo di resistenza e di critica, ma è asservita al ruolo egemone dell'industria creativa globale, dei processi di valorizzazione produttiva del sapere, inclusi i contesti locali in cui ha luogo. Come creare allora una piattaforma condivisa di lavoro e un laboratorio per tradurre le complesse geografie in mutamento? Può la curatela prendere una posizione?

Qui di seguito prende corpo un tentativo di lettura delle due giornate di convegno, attraverso un glossario, costruito sulla base di quei termini che sono apparsi come una sorta di tacito vocabolario comune, elaborato attraverso l'incrocio e la messa in connessione degli interventi che si sono susseguiti da parte dei giovani curatori invitati.
Le riflessioni che emergono nello spazio discorsivo delimitato dalle singole parole, si inseriscono in percorsi di lettura trasversali, dove l'effetto di ridondanza di certe riflessioni attraversa concettualmente più termini, rompendo gli schemi interni a qualsiasi tentativo di schematizzazione e riduzione dei contenuti che hanno animato questo esperimento di dialogo tra curatori.

Quest'ultima parte si propone come una possibile conclusione, sempre aperta a sviluppi futuri, di un progetto più ampio che ha coinvolto la Naba e UnDo.Net dagli inizi di maggio e che ha portato alla realizzazione di una pagina on line in progress, che ha accolto le considerazioni di una selezionata lista di teorici su alcuni argomenti chiave nella scena curatoriale internazionale. Inoltre il progetto web ha presentato le pagine dei 21 curatori presenti alle due giornate, dove ogni singolo ha potuto descrivere il proprio percorso e il proprio raggio d'intervento all'interno del convegno. Per tutta la durata della realizzazione dell'evento UnDo.Net è stato network partner dell'iniziativa.

Una prima parte del glossario è stata pubblicata sul numero 59 della rivista Arte e Critica, che si è offerta di rendere noto quanto è emerso da questo week-end di studio e confronto, instaurando un dialogo con il lavoro redazionale di UnDo.Net e creando un potenziale ponte tra la carta stampata e le pagine online nel network.


Un glossario con le riflessioni dei 21 partecipanti:

Marco Baravalle, Giacomo Bazzani, Andris Brinkmanis, Francesca Boenzi, Giovanni De Donà, Eva Fabbris, Ilaria Gianni, GRID, Irene Grillo, Inti Guerrero, Matteo Lucchetti, Sonia May, Manuela Moscoso, Domenico Quaranta, Societè Realiste, Caterina Riva, Marko Stamenkovic, Stefano Taccone, Elvira Vannini, Pieternel Vermoortel.


GOVERNANCE: L’arte è un dispositivo di governo e di disciplina, assoggettato a processi di legittimazione dei poteri forti che creano un’alleanza tra industria culturale e mercato. Si parla di un meccanismo economico che usa l’arte per creare valore e capitalizza anche le relazioni umane – come l'arte relazionale di Bourriaud ha saputo dimostrare. Come creare un campo d’azione alternativo? Nella riflessione di Marco Baravalle, a seguito di un ripetuto scambio di battute con gli altri curatori invitati, sul pensiero di Michel Foucault relativo alle varie declinazioni del concetto di potere, è emerso chiaro il concetto di governance. Governance come strumento di controllo e governo, tipico del capitalismo postfordista, inclusiva di pratiche curatoriali attuali che normano, influenzano e determinano il dilagare di un fenomeno culturale mainstream, che assume, sempre più, derive glamour. Non è un caso se il termine è entrato di fatto nel vocabolario artistico-curatoriale, in quanto la produzione e la promozione dell'arte e della cultura assomigliano oggi sempre più a processi di legittimazione di poteri economici. Questo termine quindi, racchiude, in un consenso generale dei curatori presenti, la necessità di riappropriarsi di un significato conflittuale dell'arte, proprio per uscire dall'idea di un'arte come governance. Il conflitto piuttosto, passa attraverso l'autogestione e l'auto-organizzazione di dispositivi curatoriali che indagano il territorio e cercano di superare il controllo capitalistico dell'arte, sia nel privato, che nel pubblico.


POTERE: “Si tratta di cogliere il potere sulle sue estremità, nelle sue ultime terminazioni, là dove diventa capillare, di prendere cioè il potere nelle sue forme ed istituzioni più regionali, più locali, soprattutto là dove, scavalcando le regole di diritto che l’organizzano e lo delimitano, si prolunga al di là di esse, s’investe in istituzioni, prende corpo in tecniche e dà strumenti d’intervento materiale, eventualmente anche violenti.” Michel Foucault, “Microfisica del potere”, 1977, Einaudi.
Se in un'epoca moderna il sistema delle istituzioni dedicate all'arte, fiorente e sulla via di una strutturazione, era rappresentativo ed esaustivo di quanto un disciplinamento delle pratiche artistiche fosse in atto (tanto da veder nascere una cosiddetta critica istituzionale al proprio interno) la condizione della contemporaneità presenta una relazione con il potere ben più complessa e particellare. Durante il convegno Marco Baravalle ha fatto emergere chiaramente il concetto di arte come dispositivo di governance, di disciplinamento e cattura, per descrivere il modo in cui oggi il potere economico, di stampo neoliberista, si manifesta all'interno della produzione artistica, fortificando le alleanze tra mercato e industria culturale. Un potere non repressivo, non censorio, ma agente sull'implementazione delle libertà: più si produce teoria critica, più aumenta la ridondanza discorsiva, che produce dispositivi in grado di incasellare l'arte ed il suo farsi, e più la cosiddetta governance espande la sua possibilità di mercificazione del pensiero espresso attorno alle attività artistiche. La pratica curatoriale non può quindi dimostrarsi né ingenua né inconsapevole rispetto alle dinamiche che costruiscono il sistema che noi chiamiamo dell'arte, per poter scegliere conseguentemente quale posizione assumere. Se accondiscendere oppure essere in grado di mettere in atto pratiche costituenti e trasformative, in un movimento oppositivo al sistema di cattura capitalista.


ARTISTA: “L'artista è oggi un soggetto espropriato” esordisce Marco Scotini nel suo intervento di apertura. Proprio in un momento in cui i curatori che paiono più interessanti e appetibili al sistema internazionale dichiarano a gran voce la loro intenzione di dare centralità all'artista e alla sua opera, c'è chi afferma che a questo soggetto, a cui si sta (ri)dando grande importanza, sia stata sottratta l'effettiva possibilità di esercitare un potere critico.
Nel susseguirsi degli interventi due nomi, tra gli altri, di artisti chiave nel rapporto tra istituzioni, potere e produzione artistica, sono stati quelli di Marcel Duchamp e di Hans Haacke. Marcel Duchamp è emerso, dalle parole di Eva Fabbris, come l'artista che è stato in grado di testare i limiti dell'istituzione dell'arte, ricoprendo per primo quel ruolo di curatore in grado di agire consapevolmente rispetto alla natura del contesto espositivo. In seconda battuta, Hans Haacke ha simbolicamente rappresentato quella parte di artisti che ripercorrono, a rebours, i fili che legano le istituzioni al potere economico, evidenziandone prima di altri le dinamiche sussuntive verso la pratica artistica.
Se queste sono figure di artisti della modernità, quali sono le potenzialità critiche di una pratica artistica dell'oggi? Quali gli strumenti in mano agli artisti della contemporaneità?
Data la nostra come un'epoca postfordista, l'artista potrebbe essere definito operaio della contemporaneità, nel momento in cui i suoi strumenti diventano quelli del produttore fordista: finito il momento della trasformazione del proprio lavoro, l'artista impiega il proprio potenziale cognitivo verso la costituzione di realtà altre, di istituzioni autonome, verso l' inserimento del proprio ruolo entro processi di più ampia portata sociale, laddove il prodotto del proprio lavoro non sia parte di, apparentemente ineluttabili, processi di mercificazione.


TERRITORIO: “Il territorio è un punto di partenza che non necessariamente deve coincidere con quello di arrivo”. Nelle parole di Francesca Boenzi, il rischio di una marcata consapevolezza della propria unicità, è quello di diventare chiusi ed autoreferenziali, di fossilizzarsi fisicamente e culturalmente dimenticando il dialogo e le relazioni con altre realtà internazionali. Boenzi parla della sua esperienza a Napoli attraverso Expòsito - Osservatorio Giovani Artisti Napoli -archivio on-line e piattaforma di promozione, produzione e discussione- e della sua “identità” curatoriale, sicuramente influenzata dal territorio in cui è maturata. Lo sforzo quando si lavora in un determinato contesto è quello di comprendere (e a volte subire) le dinamiche che lo caratterizzano, cercando di capire dove si può intervenire per correggere la situazione esistente, attraverso una pratica curatoriale non assertiva, ma propositiva, scandita da punti di domanda, flessibile, laterale, contingente.
Allo stesso modo la riflessione di Giacomo Bazzani parte dal suo percorso cominciato proprio nella città di Prato, attraverso i progetti Renshi.org e successivamente la conduzione di Networking 2007 dal titolo “Integration and Conflict”, un percorso di interazione tra pratiche artistiche e contesti territoriali in cui far emergere nuove forme di protagonismo sociale e la possibilità di immaginare nuovi conflitti come forme di cambiamento costruttive.
Le pratiche curatoriali quindi, lavorando sul territorio, sfruttano al massimo le potenzialità, ma sono anche condizionate dai limiti di un determinato contesto storico-culturale. Ecco che parlando di territorio e facendo scivolare i confini in una concezione più ampia, si arriva a considerare il fenomeno del nomadismo, come un concetto strettamente legato al territorio, nelle differenti accezioni del termine partite dalla riflessione di Marko Stamenkovic e scaturite dalla domanda: -Il tuo territorio è il posto ove attualmente ti trovi, o dove vorresti essere?- E di conseguenza che significati assume oggi il concetto di territorio? E' solo il posto dove si vive, con tutto un insieme di regole e norme sociali condivise, dove si matura una consapevolezza del luogo, o è anche un posto ideale, un reticolato fatto da tanti punti che intersecano relazioni ed esperienze condivise? Per Stamenkovic il nomadismo diventa un modo di stabilire relazioni critiche con ogni possibile destinazione culturale intorno al mondo, come una forma di produzione (materiale e immateriale) che indaga criticamente le potenzialità attuali di autonomia, attraverso posizioni che sono costantemente riformulate, messe in discussione, e come rifiuto radicale di qualsiasi tipo di status quo. In uno spirito di expatriation, di profondo senso di dislocazione, in un'atmosfera di esilio Duchampiano, questa posizione, nelle considerazioni del curatore, definisce una nuova forma di indipendenza di soggetti migranti e di esperienze che si diffondono nel mondo globalizzato. A questo proposito Stamenkovic propone una pratica curatoriale che metta al centro del dibattito le relazioni con le singole persone, con le diverse individualità, piuttosto che con le istituzioni presenti sul territorio.


ISTITUZIONE: Se il dibattito tra potere e istituzione è una questione di vecchia data all'interno della scienza sociale, come sottolinea Giacomo Bazzani, l'elemento della curatela all'interno di questa dialettica, può a tutti gli effetti rappresentare un elemento di novità e cambiamento. L'istituzione è comprensibile come espressione della necessità di determinazione rispetto a quell'indeterminato rappresentato dalla realtà e, come tale, il suo esistere, rende funzionale l'approccio al reale, sebbene i limiti dell'istituzione si manifestino spesso nel dimostrare l'istinto a conservarsi, chiudendosi e spesso diventando inutile rispetto ai bisogni per cui era nata, controllata da pochi piuttosto che da molti. Il potere, in questo senso, rappresenta la capacità di determinare la direzione dell'istituzione in funzione dei propri fini, ma è allo stesso tempo il possibile detonatore di determinati percorsi di destrutturazione dell'istituzione stessa. La pratica curatoriale diventa allora, nel tentativo di inserirsi come punto mediano in questa dinamica appena descritta, una modalità operativa attraverso cui mettere in atto degli strumenti in grado di decostruire i meccanismi messi in campo dal potere, rendendo così friabile e aperta la struttura che questo ha reso chiusa e inaccessibile.


ATTIVISMO: In uno scenario internazionale dove i dispositivi del potere agiscono attraverso l’istituzione, che sia questa un Museo o una Biennale, la curatela può ancora mostrare il dissenso? Può produrre nuove forme di soggettività e diventare uno strumento di critica alle istituzioni e al potere? L’alleanza tra pratiche artistico-curatoriali e istanze attiviste, di resistenza culturale, potrebbe fornire delle risposte alternative alla scena egemone, nei termini di una mobilitazione che ridefinisca i termini dell’agire estetico contemporaneo. Le trasformazioni sociali hanno creato nuove forme assunte dall'arte: gruppi e collettivi, pratiche del dialogo, processi collaborativi, osservazioni del territorio, urbanistica partecipata, bioresistenza, economie alternative: tutte le forme di auto-organizzazione, meccanismi di sorveglianza e apparati di controllo sociale, economie informali, media attivismo, protesta politica, dispositivi partecipativi, come free-software, free knowledge, processi open source, pratiche collettive e condivise.
Domenico Quaranta parla di “Net Art”, presentandola all'interno del sistema dell'arte attuale come un fenomeno indisciplinato che sfugge alle logiche curatoriali standardizzate. Figure al limite tra artisti e attivisti fanno a meno dei mediatori e, in qualche modo, provenendo da ambiti ed esperienze diverse si auto-organizzano. Il curatore osserva come la Net Art può esistere senza mediatori e quindi senza relazionarsi con forme di potere, e quindi di governance; è una forma d'arte che rinuncia alla solidità e alla chiusura dell'oggetto artistico e impone una riconsiderazione del valore, anche economico, dell'arte. A tal proposito nasce la figura del new media curator, che ha come obiettivo principale quello di interessarsi di cose che solitamente gravitano al di fuori del mondo dell'arte per riuscire a portarle dentro il sistema.
È ancora Marco Baravalle a darci una lettura delle pratiche attiviste all'interno dell'arte contemporanea. Nella sua relazione all'interno del segmento dedicato al Potere, propone, provocatoriamente, di accostare l'attuale successo di certe pratiche attiviste, di un'arte definita impegnata e della presenza dei suoi pensatori di riferimento all'interno delle grandi mostre internazionali, al discorso fatto da Foucault sulla sessualità in epoca vittoriana. Semplificando, il filosofo francese parlava di un'epoca affatto repressiva nei confronti della sessualità, ma semmai persuasiva verso la confessione di ciò che era legato alla sfera sessuale. Si moltiplicavano i discorsi e di conseguenza i dispositivi attraverso cui il potere controllava la sessualità, descrivendone le forme, le anomalie e di conseguenza producendo controllo ed esclusione sociale. Gli artisti, i curatori, i teorici che oggi portano avanti una posizione critica rispetto alla produzione d'arte, sono spesso chiamati a 'confessarsi', da quel dispositivo di governo che oggi l'arte è arrivata a rappresentare.


CENSURA IMPLICITA: La censura “chiacchierata” gode di molta visibilità nel momento in cui se ne parla su tutti giornali e riviste specializzate e attraverso tutti gli strumenti della comunicazione. La vera censura è quella che non fa trapelare niente, che non permette al messaggio di arrivare, in qualsiasi forma o attraverso qualsiasi mezzo, al destinatario. Nel mondo dell'arte e soprattutto in Italia esistono tanti esempi di mostre scomode o ritenute offensive (soprattutto verso la morale cattolica o il buon costume) che riescono a far parlare dell'artista e della mostra in questione a volte con effetti maggiori e più diffusi rispetto ai tradizionali mezzi di promozione. È proprio questo il punto, se da un lato l'opera viene “censurata”, dall'altro questo meccanismo le conferisce una tale notorietà da permettere al messaggio di diffondersi ugualmente (magari con effetti inaspettati o indesiderati, forse meno controllabili rispetto ad una campagna pubblicitaria). Nella riflessione di Stefano Taccone, la governance occulta, agisce censurando, e non lo fa in modo eclatante, ma in modo silenzioso, impedendo di far luce su alcune dinamiche scomode, che non vengono nemmeno annunciate e quindi rimangono impensate. Agire in contesti territoriali, indagando e interferendo con i rapporti di potere e di predominio consente di capire da vicino quelle che sono le realtà che restano nascoste, portandole ad un livello di conoscenza maggiore, facendo nascere domande, curiosità, anche senza risposta. La cosa importante è tentare di aprire un varco all'interno di un sistema standardizzato che fa anche della censura uno strumento per sollevare casi mediatici.


EMANCIPAZIONE: L'idea di attraversamento del gender è radicata nella pratica curatoriale di Inti Guerrero che si interroga sui meccanismi che definiscono le categorie fisse nell'identità sessuale e di genere. Lo fa attraverso una ricerca in corso, che focalizza sulla figura di Flavio De Carvalho, un architetto che, nello spirito modernista della San Paolo degli anni '30, progetta una città utopica che chiama “Città degli uomini nudi”, nella quale gli uomini avrebbero potuto indossare abiti in sintonia con il clima tropicale della città. Abiti leggeri e svolazzanti, che non si relazionano più con le categorie di genere sessuale e con il costume occidentale, ma liberano il cittadino brasiliano da queste convenzioni, portandolo ad emanciparsi verso un nuovo piano di libertà e di possibilità individuali. Da questo punto si vista la sua è una pratica che tende all'emancipazione del singolo da qualsiasi forma di assoggettamento, di modelli da seguire o da norme e condizionamenti imposti. All'interno della pratica curatoriale, questa modalità emancipativa si coniuga con una possibilità di agire in contesti indipendenti dalle logiche di potere, dai format precostituiti, e dalle tematiche di tendenza.


EDUCAZIONE: “Art cannot be untaught” è una mostra collettiva, curata da Caterina Riva, che riflette sul tema dell’educazione, della trasmissione del sapere e sull’idea di scuola. Gli artisti sono stati invitati a confrontarsi con uno spazio architettonicamente e simbolicamente connotato quale è quello delle ex- scuole comunali - dove ha sede La Rada. Il risultato è una serie di progetti realizzati appositamente per l’esposizione e che declinano in maniera diversificata il tema proposto. Le stesse tematiche sono state affrontate nel convegno tenutosi a Novembre alla facoltà di Scienze della Formazione in Bicocca dal titolo 'L'immaginario della scuola', un convegno che ha esplorato le figure, i simboli, le narrazioni, le rappresentazioni sociali e le produzioni artistiche dedicate all’universo scolastico.
Walter Gropius nel Manifesto della Bauhaus del 1919 scriveva che l’arte non può essere insegnata, come a dire che l’intero insegnamento artistico si fonda su un paradosso. Nel titolo della mostra (che inverte la famosa frase di Walter Gropius nel manifesto Bauhaus del 1919) compare una doppia negazione, si auspica che l’arte possa essere insegnata ma anche che, per apprenderla, sia necessario disimpararla, liberandosi delle sovrastrutture e prendendo spunto dall’equilibrio e dalla leggerezza di un giocoliere, che simboleggia un sapere mai statico bensì in continua evoluzione. Allo stesso modo Jean Dubuffet, nel suo testo Asfissiante cultura critica la posizione dei professori, identificandoli “come degli scolari perpetui, che, terminati gli studi, sono usciti dalla scuola dalla porta e per rientrarvi dalla finestra” ( 1 ). E ancora parla del professore come l'omologatore e lo schedatore di tutto ciò che nel corso della storia ha prevalso, senza essere animato da alcun gusto creativo, ma spinto dal bisogno di acclamare quello che è stato messo in luce nei corso dei secoli. A tal proposito definisce la cultura asfissiante in quanto “proietta una luce intensa su alcuni prodotti, dirige la luce a loro vantaggio, incurante di far piombare tutto il resto nell'oscurità” ( 2 ). Inoltre pone il problema di come l'artista possa essere contemporaneo alla sua epoca, senza senza farsi asfissiare dalle soffocanti nozioni edificate dagli specialisti, per esser libero di creare individualmente senza necessariamente intonarsi al coro.


CURATORSHIP / FORMAT: Negli ultimi anni si è verificata un’espansione del ruolo e del potere del curatore e un conseguente aumento della letteratura critica al riguardo. Si è assistito al fenomeno del performative curating, della co-curatorship, dalle pratiche collettive, alla figura dell’artista-curatore, al proliferare delle Biennali fino alla questione del display posta in termini nuovi. Se la grande mostra su scala globale è diventata il luogo in cui si è incentrato il dibattito artistico contemporaneo, diventa urgente chiedersi: può ancora la sfera espositiva essere un dispositivo sperimentale? Che cosa rappresenta oggi lo spazio della mostra: uno spazio sotto controllo, disciplinato, uno spazio del conflitto sociale e del dissenso, un modello educativo e/o partecipativo? Una piattaforma, un laboratorio e/o un dispositivo? Uno spazio di negoziazione col mercato o uno agente di riflessione e trasformazione? Come creare nuovi paradigmi di curatela? Nella maggior parte degli interventi in materia di esposizioni su scala globale oggi, ciò che viene implicitamente o esplicitamente messo in discussione è il limite del concetto e della forma tradizionale di mostra. La mostra rimane ancora l’attività principale di un curatore ed ha senso fondarla sul vecchio concetto di esposizione?

Note:
1)- Jean Dubuffet, Asfissiante Cultura, Abscondita, Milano 2006, pag.16
2)- Ibidem



La prima parte di questo glossario pubblicata su Arte e Critica n.59 (giugno-agosto 2009)

La riflessione su questi ed altri argomenti prosegue sulle pagine dello Speciale dedicato a "Everybody talks about the weather. We Don't" che contiene:
- Informazioni sui curatori che hanno partecipato al forum
- Domande e risposte di teorici e curatori internazionali di riferimento
- The Freedom Festival, un video di GRID, prodotto come intervento all'interno del convegno


Antonella Miggiano, dopo il diploma presso l'Accademia di Belle Arti di Lecce, ha conseguito il biennio specialistico in Comunicazione creativa per i Beni Culturali, presso l'Accademia di Belle Arti di Brera. E' esperta in Comunicazione e didattica per l'Arte Contemporanea. Collabora con UnDo.Net, vive e lavora a Milano.

Matteo Lucchetti è laureato in Storia dell'arte contemporanea all'Università degli Studi di Firenze. Attualmente frequenta il biennio specialistico in Visual Arts and Curatorial Studies presso la Naba. Dal 2006 collabora con Marco Scotini. E' curatore indipendente e scrive su riviste di settore.

Elvira Vannini è storico dell'arte e curatore indipendente. Attualmente svolge un Dottorato di Ricerca in Storia dell'Arte presso l'Universita' degli studi Bologna. E' autrice e co-conduttrice dello spazio dedicato all'arte contemporanea di "Radio Citta' del Capo" - Popolare Network. Collabora a progetti di UnDo.Net dal 2003 e con riviste di settore.



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